T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, sentenza 2 gennaio 2014, n. 1 

1) Giudizio di ottemperanza – Mancata esecuzione di un’ordinanza per il pagamento di somme di denaro – Astreinte ai sensi dell’articolo 114, comma 4, lettera e) c.p.a. – Misura coercitiva indiretta a carattere pecuniario con finalità sanzionatoria e non risarcitoria – Inapplicabilità dell’istituto nei casi di esecuzione del giudicato inerente il pagamento delle somme di denaro – Duplicazione ingiustificata delle misure volte a ridurre l’entità del pregiudizio dell’inosservanza o ritardo nell’esecuzione – Sussiste.

 Lo strumento dell’astreinte costituisce una misura indiretta, a carattere pecuniario, volta a sanzionare l’inosservanza o il ritardo nell’esecuzione del giudicato e non ha, quindi, una funzione risarcitoria. Ne deriva che lo stesso non può trovare applicazione nell’ambito di un giudizio per l’ottemperanza di un’ordinanza avente ad oggetto il pagamento di somme di denaro, poiché si verificherebbe un’ingiustificata duplicazione delle misure volte a ridurre l’entità del predetto pregiudizio.

 

2) Giudizio di ottemperanza – Astreinte ai sensi dell’articolo 114, comma 4, lettera e) c.p.a. – Contestuale nomina di un Commissario ad acta ex articolo 114, comma 4, lettera d) c.p.a. – Incompatibilità.

Nel giudizio per l’ottemperanza, l’utilizzo della misura dell’astreinte impedisce la contestuale nomina di un Commissario ad acta ai sensi dell’articolo 114, comma 4, lettera d) c.p.a..

N. 00001/2014 REG.PROV.COLL.

N. 08449/2013 REG.RIC.

N. 08450/2013 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda)

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8449 del 2013;

contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze, rappresentato e difeso per legge;

 

sul ricorso numero di registro generale 8450 del 2013, proposto da:
Angelo Giuliani,

contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze;

quanto al ricorso n. 8449 del 2013:

per l’esecuzione giudicato ordinanza n. 3488/2010 depositata il 15/02/2010 (rg 1053/2008) della Corte suprema di Cassazione prima sezione civile – equa riparazione.

quanto al ricorso n. 8450 del 2013:

per l’esecuzione giudicato ordinanza n. 3488/2010 depositata il 15/02/2010 (rg 1053/2008) della Corte suprema di Cassazione prima sezione civile – equa riparazione.

 

Visti i ricorsi e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero dell’Economia e delle Finanze;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della cause;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 20 novembre 2013 il dott. Salvatore Mezzacapo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

La Corte di Cassazione con l’ordinanza in epigrafe indicata ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento: A) in favore del signor Ascenzi Antonio, degli interessi legali dalla data della domanda della somma di euro 5.500,00, liquidata dalla Corte di Appello di Roma ai sensi della legge n. 89/2001, a seguito della violazione del termine di ragionevole durata del processo; B) in favore dall’avvocato Angelo Giuliani, quale procuratore antistatario del signor Ascenzi Antonio, delle somme liquidate, quanto al giudizio di merito, in euro 1.190,00 e, quanto al giudizio di legittimità in euro 485,00, oltre a spese legali e accessori di legge.

Con i ricorsi in epigrafe indicati i ricorrenti riferiscono: A) di aver provveduto a notificare la predetta ordinanza al Ministero dell’Economia e delle Finanze, da ritenersi legittimato passivo ai sensi dell’art. 1, comma 1225, della legge n. 296/2006; B) che, nonostante il decorso del termine assegnato all’Amministrazione per provvedere, perdura l’inadempimento del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

In ragione di quanto precede entrambi i ricorrenti chiedono a questo Tribunale di: A) dichiarare la mancata esecuzione del giudicato formatosi sull’ordinanza della Corte di Cassazione n. 3488/10 in data 15 febbraio 2010 e, per l’effetto, di ordinare al Ministero dell’Economia e delle Finanze di eseguire il pagamento delle somme suindicate; B) disporre, fin d’ora, per il caso di ulteriore inerzia dell’Amministrazione, la nomina di un Commissario ad acta; C) fissare la somma dovuta dal Ministero dell’Economia e delle Finanze a titolo di “risarcimento del danno da ritardo” nel pagamento delle predette somme, in conformità ai principi affermati da questo Tribunale nella sentenza n. 9003 del 2012; D) condannare il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento della c.d. penalità di mora, in conformità ai principi affermati da questo Tribunale nella sentenza n. 8746 del 2012; E) condannare l’Amministrazione al pagamento delle spese di giudizio, da distrarsi in favore dell’avvocato Angelo Giuliani, in qualità di procuratore antistatario.

I ricorsi sono stati chiamati e trattenuti per la decisione alla camera di consiglio del 20 novembre 2013.

In via preliminare il Collegio ritiene che sussistano evidenti ragioni di connessione oggettiva e soggettiva che rendono opportuna la riunione dei ricorsi in epigrafe indicati, ai sensi dell’art. 70 cod. proc. amm., perché entrambi i ricorsi sono finalizzati ad ottenere l’esecuzione della medesima ordinanza della Corte di Cassazione, pronunciata nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Sempre in via preliminare il Collegio ritiene che occorra verificare la sussistenza della legittimazione passiva del Ministero dell’Economia e delle Finanze – che non è stato parte del giudizio definito con l’ordinanza della Corte di Cassazione di cui viene chiesta l’ottemperanza – perché l’art. 114, comma 1, cod. proc. amm. dispone che l’azione di ottemperanza si propone “con ricorso notificato alla pubblica amministrazione e a tutte le altre parti del giudizio definito dalla sentenza o dal lodo della cui ottemperanza si tratta”.

Ebbene, il Collegio ritiene che valga a radicare la legittimazione passiva del Ministero dell’Economia e delle Finanze il combinato disposto dell’art. 3, comma 3, della legge n. 89/2001 (come modificato dall’art. 1, comma 1224, secondo periodo, della legge n. 296/2006) con l’art. 1, comma 1225, secondo periodo, della legge n. 296/2006 (come interpretato dall’art. 55, comma 2-bis, del decreto legge n. 83/2012, nel testo integrato dalla n. 134/2012).

In particolare, l’art. 1, comma 1224, secondo periodo, della legge n. 296/2006 – nel modificare l’art. 3, comma 3, della legge n. 89/2001, che prevedeva anche la Presidenza del Consiglio dei Ministri come soggetto legittimato passivo delle domande conseguenti alla violazione del termine di ragionevole durata del processo – dispone che il ricorso sia proposto: A) nei confronti del Ministro della giustizia quando si tratta di procedimenti del giudice ordinario; B) nei confronti del Ministro della difesa quando si tratta di procedimenti del giudice militare; C) “negli altri casi” nei confronti del Ministro dell’economia e delle finanze.

Inoltre – sebbene la giurisprudenza (Consiglio di Stato, Sez. IV, 25 giugno 2010, n. 4096) in passato abbia affermato che la disposizione dell’art. 1, comma 1225, secondo periodo, della legge n. 296/2006 (secondo la quale “al fine di razionalizzare le procedure di spesa ed evitare maggiori oneri finanziari conseguenti alla violazione di obblighi internazionali”, al pagamento degli indennizzi “procede, comunque, il Ministero dell’economia e delle finanze”) sia una disposizione organizzativa, indirizzata alla sola pubblica amministrazione – si deve qui evidenziare che il legislatore con l’art. 55, comma 2-bis, del decreto legge n. 83/2012 ha disposto che “l’articolo 1, comma 1225, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, si interpreta nel senso che il Ministero dell’economia e delle finanze procede comunque ai pagamenti degli indennizzi in caso di pronunce emesse nei suoi confronti e nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri”.

Pertanto deve conclusivamente ritenersi che sussista la legittimazione passiva del Ministero dell’Economia e delle Finanze nei giudizi di ottemperanza relativi alle sentenze con le quali sono state accolte domande proposte nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri in materia di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo.

Passando al merito, il Collegio ritiene che i ricorsi in esame debbano essere accolti nei limiti di seguito indicati.

Innanzi tutto risulta fondata la prima domanda proposta dai ricorrenti, perché: A) sebbene l’ordinanza in epigrafe indicata risulti notificata al Ministro dell’economia e delle finanze, perdura l’inadempimento del Ministero; B) la Difesa erariale non si è neppure costituita per controdedurre in ordine alla domanda di controparte.

Diverse considerazioni valgono: A) per la richiesta di condanna di risarcimento del danno da ritardo ai sensi dell’art. 114, comma 4, lettera e), cod. proc. amm.; B) per la richiesta congiunta di nomina di un commissario ad acta, ai sensi dell’art. 114, comma 4, lettera d), cod. proc. amm., e di applicazione delle misura prevista dalla disposizione dell’art. 114, comma 4, lettera e), cod. proc. amm., con conseguente condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento della c.d. penalità di mora per ogni ulteriore ritardo nell’esecuzione del giudicato.

In particolare, non ignora il Collegio l’orientamento giurisprudenziale invocato dalla parte ricorrente (T.A.R. Lazio Roma, Sez. I, 2 novembre 2012, n. 9003), secondo il quale la disposizione dell’art. 114, comma 4, lettera e), cod. proc. amm. – secondo il quale “salvo che ciò sia manifestamente iniquo, e se non sussistono altre ragioni ostative, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del giudicato; tale statuizione costituisce titolo esecutivo” – andrebbe interpretata nel senso legittima l’interessato a richiedere la condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno da ritardo nell’esecuzione del giudicato.

Tuttavia tale interpretazione non appare condivisibile, perché il Giudice d’appello (Consiglio di Stato, Sez. IV, 21 agosto 2013, n. 4216; Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, 22 gennaio 2013, n. 26) ha recentemente ribadito che risarcimento del danno e penalità di mora sono due istituti connotati da struttura e funzioni diverse. Infatti, le c.d. astreintes, derivate da ordinamenti stranieri, rappresentano misure coercitive indirette a carattere pecuniario, con finalità sanzionatoria e non risarcitoria, nella misura in cui non sono finalizzate a riparare il pregiudizio cagionato dalla mancata esecuzione della sentenza, ma a sanzionare la disobbedienza alla statuizione giudiziaria e a stimolare il debitore all’adempimento.

Passando alla richiesta congiunta di nomina di un commissario ad acta e di applicazione della c.d. astreinte, il Collegio non ritiene di doversi uniformare all’orientamento giurisprudenziale invocato dalla parte ricorrente (T.A.R. Lazio, Sez. I, 2 novembre 2012, n. 9003) – secondo il quale tale misura ha una portata applicativa più ampia che nel processo civile e può trovare applicazione anche nel caso di sentenze di condanna al pagamento di somme di denaro, perché la predetta disposizione non ha riprodotto il limite, stabilito della norma di rito civile (art. 614-bis cod. proc. civ.), della riferibilità del meccanismo al solo caso di inadempimento degli obblighi aventi per oggetto un non fare o un fare infungibile – alla luce delle seguenti considerazioni.

Innanzi tutto occorre rammentare che, secondo il giudice d’appello (da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, sentenza 4 settembre 2012, n. 4685), l’astreinte (detta anche penalità di mora) può trovare applicazione se sussistono tutti i tre presupposti stabiliti dall’art. 114 comma 4, lettera e), cod. proc. amm., ossia quello positivo, costituito dalla richiesta di parte, e quelli negativi, costituiti dall’insussistenza di profili di manifesta iniquità e dall’insussistenza di altre ragioni ostative.

Ciò posto, questa Sezione (T.A.R. Lazio Roma, Sez. II, 5 dicembre 2012, n. 9037) ha già prestato adesione al diverso orientamento giurisprudenziale (ex multis, T.A.R. Lazio Roma, Sez. II-bis, 21 gennaio 2013, n. 640; T.A.R. Lazio Roma, Sez. I, 29 dicembre 2011, n. 10305; T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, 15 aprile 2011, n. 2162) secondo il quale, quando l’esecuzione del giudicato consista (come nel caso in esame) nel pagamento di una somma di denaro, non è possibile far ricorso all’astreinte in ragione dei predetti requisiti negativi (costituiti dall’insussistenza di profili di manifesta iniquità e dall’insussistenza di altre ragioni ostative), ossia in considerazione della «iniquità della correlata condanna, consistente nel pagamento di una somma di denaro, laddove l’obbligo oggetto di domanda giudiziale di adempimento è esso stesso di natura pecuniaria, ed è già assistito, a termine del vigente ordinamento, per il caso di ritardo nel suo adempimento, dall’obbligo accessorio degli interessi legali, cui la somma dovuta a titolo di astreinte andrebbe ulteriormente ad aggiungersi. Nell’avversata ipotesi, infatti, per un verso, si duplicherebbero ingiustificatamente le misure volte a ridurre l’entità del pregiudizio derivante all’interessato dalla violazione, inosservanza o ritardo nell’esecuzione del giudicato, per altro verso, si determinerebbe un ingiustificato arricchimento del soggetto già creditore, oltre che della prestazione principale, di quella accessoria» (in tal senso, T.A.R. Lazio Roma, Sez. I, n. 10305/2011 cit.).

Quest’ultimo orientamento – a giudizio del Collegio – appare senz’altro preferibile alla luce dei seguenti argomenti, evidenziati dalla più recente giurisprudenza (T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, 3 dicembre 2012, n. 4887), secondo la quale: A) «non sembra utilmente richiamabile un proprium dell’ottemperanza costituito dalla limitata configurabilità di atti non surrogabili nell’esecuzione tramite c.p.a., atteso che dell’istituto della astreinte si discute proprio sino alla nomina del commissario ad acta, la cui attività trasforma l’infungibilità del facere in una surrogazione giudiziale. Nel giudizio di ottemperanza la misura accessoria della astreinte ha quindi la funzione di incentivare l’esecuzione di condanne di facere o non facere infungibile, appunto prima dell’intervento del commissario ad acta, che comporta normalmente maggiori oneri per l’amministrazione, oltre che maggior dispendio di tempo per il privato»; B) «si impone una considerazione finale a tutela della omogeneità dell’ordinamento e del principio di eguaglianza: qualora il giudizio di ottemperanza sia prescelto dalla parte per l’esecuzione di sentenza di condanna pecuniaria del giudice ordinario (il che frequentemente accade) la tesi favorevole alla ammissibilità della applicazione della astreinte finirebbe per consentire una tutela diversificata dello stesso credito a seconda del giudice dinanzi al quale si agisca. In altri termini, il creditore pecuniario dell’amministrazione pubblica nel giudizio di ottemperanza potrebbe ottenere maggiori e diverse utilità rispetto a quelle conseguibili nel giudizio di esecuzione civile (ove in base alla pressoché unanime interpretazione, l’istituto del 614-bis c.p.c. è applicabile alle sole condanne ad un facere infungibile), e tanto semplicemente in base ad una opzione puramente potestativa. Per contro, alla luce del principio di eguaglianza, il legislatore è chiamato ad effettuare, a parità di situazioni sostanziali, scelte identiche, ed un regime di tutela differenziato in tanto sarebbe legittimo in quanto rispondente ad un principio di ragionevolezza. Nella specie, non sembra legittima né ragionevole una tutela differenziata offerta al cittadino (ed a scelta meramente potestativa di quest’ultimo) all’interno di un sistema che svolge la stessa funzione esecutiva, ancorché dinanzi a giudici diversi».

A tali argomenti si deve poi aggiungere che, nel caso in esame, la domanda di applicazione della misura prevista dalla disposizione dell’art. 114, comma 4, lettera e), cod. proc. amm. è stata proposta unitamente alla domanda di nomina di un Commissario ad acta ai sensi dell’art. 114, comma 4, lettera d), cod. proc. amm.. Pertanto, seppure si prestasse adesione all’orientamento secondo il quale la misura della astreinte può trovare applicazione anche nel caso di sentenze di condanna al pagamento di somme di denaro, si dovrebbe affrontare il problema della compatibilità di tale misura con la nomina del Commissario ad acta. Ebbene, a tal riguardo la giurisprudenza (T.A.R. Piemonte Torino, Sez. I, 21 dicembre 2012, n. 1386) ha già avuto modo di evidenziare che la nomina del commissario ad acta, per il caso di persistente inerzia dell’Amministrazione esclude la possibilità di condannare quest’ultima anche al pagamento della astreinte: infatti, diversamente opinando, si correrebbe il rischio di far gravare, ingiustamente, sull’amministrazione le conseguenze sanzionatorie di eventuali ulteriori ritardi imputabili non ad essa, bensì all’ausiliario del giudice.

Tenuto conto delle suesposte considerazioni il Collegio ritiene che non sussistano i presupposti per accedere alla richiesta di applicazione della misura prevista dell’art. 114, comma 4, lettera e), cod. proc. amm., e che si debba piuttosto nominare sin d’ora un Commissario ad acta – nella persona del Dirigente responsabile dell’Ufficio IX della Direzione Centrale dei Servizi del Tesoro del Dipartimento dell’Amministrazione Generale, del Personale e dei Servizi del Ministero dell’Economia e delle Finanze – affinché provveda, in sostituzione dell’amministrazione, entro il termine di sessanta giorni dalla scadenza del termine di trenta giorni già assegnato al Ministero intimato per provvedere al pagamento delle somme dovute ai ricorrenti, a dare corso al pagamento medesimo, compiendo tutti gli atti necessari, comprese le eventuali modifiche di bilancio, a carico e spese dell’Amministrazione inadempiente.

Le spese di giudizio, liquidate come da dispositivo in ragione del carattere seriale della presente controversia, seguono la soccombenza e, in relazione al ricorso n. 8449/2013, devono essere distratte in favore del procuratore antistatario ai sensi dell’art. 93, comma 1, cod. proc. civ..

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti 8449/2013 e 8450/2013, li accoglie entrambi nei limiti indicati in motivazione.

Per l’effetto, ordina al Ministero dell’Economia e delle Finanze di provvedere, entro il termine di 30 giorni dalla comunicazione/notificazione della presente sentenza, al pagamento delle somme dovute in forza dell’ordinanza della Corte di Cassazione in epigrafe indicata, nonché degli interessi fino all’effettivo soddisfo.

Nomina, per il caso di perdurante inadempimento del Ministero dell’Economia e delle Finanze oltre il predetto termine di 30 giorni, un Commissario ad acta, nella persona del dirigente del Ministero dell’Economia e delle Finanze indicato in motivazione, affinché provveda, in sostituzione dell’Amministrazione, entro il termine di 60 giorni a dare corso al pagamento delle somme dovute al ricorrente, compiendo tutti gli atti necessari, comprese le eventuali modifiche di bilancio, a carico e spese dell’Amministrazione inadempiente.

Condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento, in favore dell’avvocato Angelo Giuliani, delle spese di lite, che si liquidano complessivamente in euro 300,00 (trecento/00), oltre i.v.a. e c.p.a. come per legge.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 novembre 2013 con l’intervento dei magistrati:

Luigi Tosti, Presidente

Salvatore Mezzacapo, Consigliere, Estensore

Maria Cristina Quiligotti, Consigliere

 

 

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 02/01/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)