Consiglio di Stato, Sez. III, 26 luglio 2013, n. 3972

Processo amministrativo – Appello – Capo relativo alle spese processuali – Discrezionalità del Giudice amministrativo nell’attribuzione del relativo onere in considerazione dell’interesse delle parti e dell’interesse pubblico – Appello limitato al capo sulle spese. È ammissibile – Pronuncia del Giudice d’appello – In linea di massima è pronuncia di rigetto – Salva la manifesta irragionevolezza o violazione dei criteri fissati da norme di legge.

 

 

 

N. 03972/2013REG.PROV.COLL.

N. 01198/2005 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1198 del 2005, proposto da:
Chierichella Anna erede di Chierichella Vincenzo, rappresentata e difesa dall’avv. Alfonso Luigi Marra, con domicilio eletto presso Alfonso Luigi Marra in Roma, via Sistina, 121; Chierichella Giovanni erede di Chierichella Vincenzo, Chierichella Assunta, erede di Chierichella Vincenzo, Chierichella Giuseppina, erede di Chierichella Vincenzo, Chierichella Maria, erede di Chierichella Vincenzo, Stagliano Enza, erede di Chierichella Vincenzo;

contro

U.S.L. n. 42 Napoli, A.S.L. Napoli 1 – Gestione Liquidatoria ex Usl 42 di Napoli; Regione Campania, rappresentate e difese dall’avv. Carla Palumbo, con domicilio eletto presso Carla Palumbo in Roma, via Poli n. 29;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI: SEZIONE III n. 08700/2004, resa tra le parti, concernente erogazione contributo cura ed assistenza portatori handicap-compensazione delle spese e pagamento onorari;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 maggio 2013 il Cons. Alessandro Palanza e udito per la parte appellante l’avvocato Buondonno su delega di Palumbo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1.- I signori Chierchiella Giovanni, Chierchiella Assunta, Chierchiella Giuseppina, Chierchiella Maria e Stagliana Enza impugnano, limitatamente alla statuizione di compensazione delle spese, la sentenza del TAR per la Campania-Napoli che ha accolto il loro ricorso per l’annullamento del silenzio-rifiuto formatosi sulla istanza del ricorrente e sul successivo atto di diffida e messa in mora, intesa ad ottenere la liquidazione del contributo previsto dall’art. 26 della legge regionale n. 11 del 15.3.1984 e di ogni altro atto connesso, preordinato e consequenziale.

2.- Parte appellante contesta la compensazione delle spese disposta dal giudice di primo grado, considerandola del tutto ingiustificata sia sul piano del merito, talmente inequivocabile che arriva a configurare un caso di causa temeraria, ai sensi dell’art. 96 del codice di procedura civile, sia in termini processuali, dal momento che l’avvocato ha dichiarato di aver anticipato le spese ai sensi dell’art. 93 dello stesso codice, dal momento che la parte – familiari di disabili bisognosi di assistenza pubblica – versa in evidente stato di disagio economico. E’ pertanto l’avvocato ad avere autonomamente diritto ad ottenere un diretto titolo di credito nei confronti della parte soccombente. Viene richiamata a sostegno dell’appello sulle spese la giurisprudenza CEDU che ha riscontrato in casi simili di mancata condanna alle spese della parte soccombente una violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione.

3.- Si è costituita la Regione Campania presentando memoria con la quale sostiene la irricevibilità del ricorso in quanto tardivo, essendo stato presentato dopo il termine di trenta giorni dalla notificazione prevista per la impugnazione di sentenze in materia di silenzio dall’art. 21-bis della legge n. 1034/1971 come modificata dalla legge n. 205/2000. La sentenza è stata depositata il 12 maggio 2004, mentre l’appello risulta notificato il 17 gennaio 1995, ben oltre il termine. Quanto al merito la Regione deduce, in senso contrario alle ragioni dell’appellante, la giurisprudenza del Consiglio di Stato che costantemente ha negato il sindacato sulla decisione in tema di attribuzione delle spese per il giudizio, in quanto rientrante in una valutazione discrezionale propria del giudice in ciascun grado del giudizio.

4.- La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 24 maggio 2013.

5.- L’appello è infondato nel merito avendo il Collegio posto in disparte, in via preliminare, la questione di ordine processuale relativa alla tardività dell’appello sollevate dalla Amministrazione resistente, rilevando peraltro che la stessa Amministrazione non ha fornito documentazione riguardante la asserita notifica della sentenza impugnata.

5.1. – L’appello è limitato alla parte della sentenza che dispone sulle spese del giudizio, compensandole tra le parti. Il Collegio lo respinge aderendo alla giurisprudenza che considera quella sulle spese una decisione accessoria di tipo processuale, rientrante nella discrezionalità del giudice in quanto intimamente connessa alla fase processuale nella quale si inserisce e al giudizio che da quella fase risulta. Solo incidendo sul giudizio di primo grado e mutandolo, il giudice di appello ha pieno titolo per tornare sulla decisione relativa alle spese di giudizio in primo grado. In tal modo modifica radicalmente l’intera vicenda processuale e non interviene sulle spese in primo grado ma sulle spese complessive del giudizio quantificandole e distribuendole tra le parti.

5.2. – L’indirizzo giurisprudenziale soprarichiamato è pacificamente fondato sulla chiara ed univoca disciplina della materia oggi disciplinata dal codice di procedura civile e dal codice del processo amministrativo di seguito esposta:

– L’articolo 26 del c.p.a. stabilisce l’obbligo per il giudice di disporre sulle spese ogni volta che emette una decisione, e dunque fissa in modo esplicito e necessario il nesso di collegamento fra ciascuna decisione del giudice amministrativo e la attribuzione delle relative spese processuali. Oltre al dato normativo, è la natura strettamente processuale della decisione a renderla parte del procedimento e non della questione sostanziale di cui si contende;

– L’art. 88 del codice del processo amministrativo fissa, infatti, l’obbligo di includere la pronuncia sulle spese nel dispositivo della sentenza e, dunque, la prevede come uno degli elementi indefettibili della sentenza stessa e della procedura che conduce a formarla;

– Lo stesso obbligo è previsto dall’art. 57 c.p.a. con riferimento all’ordinanza che conclude il procedimento cautelare; in tal caso “la pronuncia sulle spese conserva efficacia anche dopo il provvedimento che definisce il giudizio, salvo diversa statuizione espressa nella sentenza di merito”.

– L’art. 84 c.p.a. al comma 2 prevede, in caso di rinunzia al ricorso, l’obbligo del rinunciante di pagare le spese degli atti di procedura compiuti “ salvo che il Collegio, avuto riguardo ad ogni circostanza, ritenga di compensarle”.

5.3. – Per quanto attiene in modo specifico all’ambito di discrezionalità del giudice, l’articolo 92 del codice di procedura civile riconosce la derogabilità del principio che le spese seguono la soccombenza, come sancito dal precedente art. 91. Insieme all’articolo 92 diverse norme del codice di procedura civile individuano una casistica di ampia discrezionalità nell’applicazione del principio in diverse circostanze e con diverse modalità:

– all’art. 92: – escludendola per singoli atti processuali; compensandole in caso di soccombenza reciproca o per gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione; regolandone la misura totale o parziale;

– all’art. 96, accentuando gli oneri in caso di responsabilità aggravata (si veda anche art. 26, comma 2, c.p.a.);

– all’art. 97, distribuendo diversamente gli oneri tra le diverse parti soccombenti.

5.4. – Nel giudizio amministrativo di legittimità, la discrezionalità del giudice nella attribuzione delle spese si amplia proporzionalmente, rispetto al giudizio civile, in rapporto all’accrescersi dei parametri da considerare nel giudizio. Esso riguarda generalmente, infatti – a norma dell’art. 7, comma 1, del c.p.a. – interessi legittimi, o anche diritti soggettivi nelle materie indicate dalla legge, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio di un potere amministrativo. Pertanto il giudice è chiamato ad applicare i parametri di legittimità rispetto ai comportamenti delle parti, ma tenendo altresì conto di un terzo fattore, da individuarsi nell’interesse pubblico come definito dalla legge che si pone alla base del potere amministrativo del cui esercizio si tratta. Il bilanciamento che il giudizio comporta, quindi, non avviene solo tra le ragioni delle parti, in quanto queste ultime sono valutate alla stregua dell’interesse pubblico che la sottostante normativa persegue, bilanciato dalle garanzie previste a tutela degli interessi rilevanti o dei diritti soggettivi, ove essi rientrino nella giurisdizione amministrativa. Tale valutazione può comportare un più alto tasso di complessità delle questioni giuridiche e perfino della qualificazione delle circostanze di fatto, con immediata incidenza sulle valutazioni in ordine al comportamento processuale delle parti, che il giudice deve obbligatoriamente operare alla stregua delle soprarichiamata normativa proprio ai fini della decisione sulle spese. In particolare vanno considerate al riguardo le richiamate norme dei due codici che giungono a configurare sanzioni nel caso di lite temeraria (art. 26, comma 2, c.p.a. e 96 c.p.c.): i principi sottesi alle due norme si riflettono anche nella valutazione ordinaria sull’attribuzione delle spese determinandone la graduazione, con un margine di discrezionalità ancora maggiore nel caso del giudizio amministrativo di legittimità.

5.5. – Le considerazioni di cui al punto 5.4., che fanno particolare riferimento al giudizio amministrativo, confermano il pieno rispetto nel caso di specie anche degli orientamenti di cui alla giurisprudenza CEDU richiamata dall’appellante a sostegno della sua pretesa.

6. – In base alla ricognizione della normativa processuale vigente può, dunque, concludersi che, nel giudizio amministrativo, l’appello concernente esclusivamente le spese, formalmente legittimo ed ammissibile, deve essere in linea di massima respinto in quanto concernente una valutazione ampiamente discrezionale di equilibrio processuale che riguarda ogni singola fase del giudizio e spetta al giudice che la svolge, tranne in caso di manifesta e diretta violazione dei criteri fissati da norme di legge tale da configurare gli estremi di una decisione aberrante, quale quella che ponga le spese a carico della parte vincitrice in diretta violazione dell’art. 91 del c.p.c..

Non rientrando in un caso di questo tipo, l’appello in esame deve essere senz’altro respinto nel merito, prescindendo – come già premesso al punto 5 – dall’esame della eccezione di irricevibilità.

7. – In base alla complessiva motivazione della presente sentenza, le spese non possono che essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 maggio 2013 con l’intervento dei magistrati:

Pier Luigi Lodi, Presidente

Vittorio Stelo, Consigliere

Massimiliano Noccelli, Consigliere

Alessandro Palanza, Consigliere, Estensore

Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere

 

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 26/07/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)