Corte Costituzionale, 18 luglio 2013, n. 211

SENTENZA N. 211

ANNO 2013

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

composta dai signori: Presidente: Franco GALLO; Giudici : Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge della Regione Abruzzo 28 agosto 2012, n. 46 (Modifiche alla legge regionale 13 febbraio 2003, n. 2, recante “Disposizioni in materia di beni paesaggistici e ambientali, in attuazione della Parte Terza del D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 − Codice dei beni culturali e del paesaggio”), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso spedito per la notificazione il 29 ottobre 2012, notificato il 31 ottobre 2012, depositato in cancelleria il 6 novembre 2012 ed iscritto al n. 178 del registro ricorsi 2012.

Udito nell’udienza pubblica del 2 luglio 2013 il Giudice relatore Paolo Grossi;

udito l’avvocato dello Stato Stefano Varone per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.− Con ricorso spedito per la notificazione il 29 ottobre 2012 e depositato il 6 novembre successivo, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 2 della legge della Regione Abruzzo 10 agosto 2012, n. 46 (Modifiche alla legge regionale 13 febbraio 2003, n. 2, recante “Disposizioni in materia di beni paesaggistici e ambientali, in attuazione della Parte terza del D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 − Codice dei beni culturali e del paesaggio”), pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Abruzzo (BURA) n. 47 del 5 settembre 2012, per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, e con le norme interposte, attuative degli artt. 9 e 117 Cost., di cui agli artt. 135, 143, 145, comma 5, e 156 del già citato decreto legislativo n. 42 del 2004.

La norma censurata, nel dettare disposizioni di coordinamento della pianificazione paesaggistica con gli altri strumenti di pianificazione – da svolgere espressamente nel rispetto dei princìpi fissati dall’art. 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio –, escluderebbe qualsiasi  partecipazione degli organi ministeriali nel procedimento di verifica di compatibilità degli strumenti di pianificazione delle amministrazioni locali al Piano Regionale Paesistico, in violazione di quanto previsto dal menzionato art. 145, comma 5, del Codice. Inoltre, essa prevedrebbe che le amministrazioni locali possano anche proporre “aggiustamenti” e “varianti” che la Regione approva, senza alcuna forma di condivisione con gli organi dello Stato.

Sottolinea il ricorrente che, in base all’art. 143 del Codice dei beni culturali, un aspetto essenziale del piano paesaggistico – da approvare in forma concertata tra Stato e Regioni – è rappresentato proprio dalla ricognizione del territorio oggetto di pianificazione; sicché, non esistendo ancora un piano paesaggistico regionale adeguato alle previsioni del Codice, la mancanza di una partecipazione degli organismi ministeriali al procedimento disciplinato dalla disposizione oggetto di impugnativa si risolverebbe in una violazione dell’obbligo di pianificazione congiunta imposto dalle richiamate disposizioni del Codice.

2.− La Regione Abruzzo non si è costituita in giudizio.

Considerato in diritto

1.− Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 2 della legge della Regione Abruzzo 10 agosto 2012, n. 46 (Modifiche alla legge regionale 13 febbraio 2003, n. 2 recante “Disposizioni in materia di beni paesaggistici e ambientali, in attuazione della Parte terza del D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 − Codice dei beni culturali e del paesaggio”), pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Abruzzo (BURA) n. 47 del 5 settembre 2012, per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, e con le norme interposte – attuative degli artt. 9 e 117 Cost. – di cui agli artt. 135, 143, 145, comma 5, e 156 del richiamato decreto legislativo n. 42 del 2004.

Deduce, in proposito, il ricorrente che la norma censurata, nel dettare disposizioni per le funzioni di coordinamento della pianificazione paesaggistica con gli altri strumenti di pianificazione, da esercitare «nel rispetto dei principi fissati dall’art. 145 del D. Lgs n. 42/2004», escluderebbe qualsiasi partecipazione degli organi ministeriali nel procedimento di verifica di compatibilità degli strumenti di pianificazione delle amministrazioni locali al Piano Regionale Paesistico, in violazione, invece, di quanto previsto dal menzionato art. 145, comma 5, del Codice.

Inoltre, la norma in questione prevedrebbe che le amministrazioni locali possano anche proporre “aggiustamenti” e “varianti” che la Regione approva, senza alcuna forma di condivisione con gli organi dello Stato.

Viene al riguardo sottolineato che, in base all’art. 143 del citato Codice, un aspetto essenziale del piano paesaggistico – da approvare in forma concertata tra Stato e Regioni – è rappresentato proprio dalla ricognizione del territorio oggetto di pianificazione; sicché, non esistendo ancora un piano paesaggistico regionale adeguato alle previsioni del predetto Codice, la mancanza di una partecipazione degli organismi ministeriali al procedimento disciplinato dalla disposizione oggetto di impugnativa si risolverebbe in una violazione dell’obbligo di pianificazione congiunta imposto dalle richiamate disposizioni del Codice.

2.− La questione è fondata.

3.− La disposizione impugnata, infatti, pur espressamente enunciando in via programmatica, come già rilevato, il «rispetto dei princìpi fissati dall’art. 145 del d.lgs. n. 42/2004», stabilisce un iter procedimentale di «coordinamento della pianificazione paesaggistica con gli altri strumenti di pianificazione» che si rivela non conforme ai princìpi in questione.

La normativa in esame disciplina due distinte ipotesi procedimentali: a) quella nella quale le previsioni proposte negli strumenti di pianificazione delle amministrazioni locali si limitino «ad un mero recepimento del PRP» (comma 4); b) quella nella quale le previsioni proposte si configurino, invece, «come variante al PRP» (comma 5). Nel primo caso, i Comuni adottano (comma 4), insieme «alla deliberazione di definitiva approvazione del proprio strumento», una dichiarazione di conformità («delle previsioni proposte agli usi consentiti dal PRP»), che trasmettono, «per conoscenza, alla Direzione regionale competente» (la quale, secondo quanto previsto al comma 7, «si riserva il potere di verificare la correttezza delle dichiarazioni di conformità di cui al comma 4 anche a campione e in tutti i casi in cui sorgono fondati dubbi sulla veridicità del loro contenuto», senza, tuttavia, che l’esercizio del potere di verifica costituisca, secondo il comma 8, «ragione di sospensione dei procedimenti amministrativi di competenza comunale, fatti salvi gli esiti della verifica stessa»); nel secondo caso, la variante, come previsto al comma 5, è «trasmessa alla Direzione regionale competente per la verifica della compatibilità alle previsioni di PRP» e il Consiglio regionale assume, previo parere del Comitato regionale per i Beni Ambientali, «apposito atto deliberativo», che viene «pubblicato sul BURA e costituisce variante al PRP», anche come «condizione imprescindibile per la definitiva approvazione della variante proposta» (comma 6).

In entrambe le descritte ipotesi è palesemente esclusa qualsiasi forma di partecipazione di qualsivoglia organismo ministeriale al «procedimento di conformazione ed adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica», in evidente contrasto con la normativa statale interposta e, in particolare, con il citato art. 145, comma 5, del d.lgs. n. 42 del 2004, il quale – in linea con le prerogative riservate allo Stato dalla disposizione costituzionale evocata a parametro, come anche riconosciute da costante giurisprudenza di questa Corte (tra le molte, sentenza n. 235 del 2011) – specificamente impone che la Regione adotti la propria disciplina «assicurando la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento medesimo».

La circostanza, poi, che – secondo quanto dedotto dal ricorrente – non risulti ancora adottato un piano paesaggistico regionale adeguato alle disposizioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio finisce per rendere ancor più acuta la vulnerazione delle prerogative statali, considerato che, in relazione a quelle che saranno le concrete previsioni dello stesso piano, dovranno poi essere verosimilmente ridisciplinate, dalla legge regionale, le procedure di adeguamento degli «altri strumenti di pianificazione».

La disposizione impugnata deve, pertanto, essere dichiarata costituzionalmente illegittima.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 della legge della Regione Abruzzo 10 agosto 2012, n. 46 (Modifiche alla legge regionale 13 febbraio 2003, n. 2, recante “Disposizioni in materia di beni paesaggistici e ambientali, in attuazione della Parte terza del D. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 – Codice dei beni culturali e del paesaggio).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2013.

F.to:

Franco GALLO, Presidente

Paolo GROSSI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2013.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Gabriella MELATTI