Servizi d’interesse generale e armonizzazione nel quadro dell’integrazione mediterranea. Assetti istituzionali e modelli di regolazione.

Prof. Avv. Carlo Malinconico – Ordinario di Diritto dell’Unione Europea

1.  Gli obiettivi del processo di Barcellona e l’Unione per il Mediterraneo. Aspettative e delusioni.

Il processo di Barcellona, avviato dalla Conferenza che si riunì in quella città nei giorni 27 e 28 novembre 1995, muoveva da una lungimirante intuizione: coinvolgere i Paesi della riva meridionale del Mediterraneo nel processo di sviluppo economico e sociale e d’integrazione economica perseguito dai Trattati istitutivi dell’Ue [Aliboni 2000; 2001; Billion 2008].

L’integrazione dei mercati, l’incremento degli scambi, il miglioramento delle condizioni economiche dei singoli, i riflessi positivi di tale evoluzione sugli equilibri sociali e sulla stabilità politica della regione e sui flussi migratori sono finalità connaturate alle origini delle Comunità economiche europee.

La partecipazione dell’Ue, con i 15 Stati che ne facevano allora parte, e di 12 Stati della sponda meridionale del Mediterraneo, sia pure con la rilevante assenza iniziale della Libia, che però vi si aggiunse nell’anno 2000, sembrava aprire un processo fecondo di risultati. E così quell’evento fu salutato da diversi esponenti politici intervenuti.

Ben individuati erano anche gli obiettivi e gli strumenti di quel processo: l’obiettivo politico di sottoscrivere una «Carta per la stabilità e la sicurezza del Mediterraneo», l’obiettivo economico di sviluppare l’economia dei Paesi interessati ed istituire una zona di libero scambio entro il 2010, l’obiettivo culturale della reciproca conoscenza e del rispetto delle culture rispettive, come strumento di tutela dei diritti civili e politici [Panebianco 2003].

Obiettivi tra loro evidentemente interconnessi, perché il miglioramento del livello di vita tende a evitare esasperazioni e contrapposizioni reciproche e accentua la sensibilità verso il rispetto dei diritti fondamentali della persona.

Anche gli strumenti d’intervento per il raggiungimento di quelle finalità erano articolati: dalla promozione di accordi bilaterali, alle politiche regionali, ai finanziamenti legati al perseguimento degli obiettivi sopra indicati. In particolare, sul versante dell’ Ue, vanno ricordati gli accordi di partenariato e di associazione con i Paesi terzi del Mediterraneo e l’intelaiatura giuridica dei regolamenti che prevedono accordi, programmi e progetti, con il relativo finanziamento.

Va, in proposito ricordato il regolamento n. 1488/96, relativo a «misure d’accompagnamento finanziarie e tecniche (MEDA) a sostegno della riforma delle strutture economiche e sociali nel quadro del partenariato euromediterraneo»[1]. Per realizzare gli obiettivi del programma MEDA nel periodo 2000-2006 sono stati stanziati 5.350 milioni di euro.

Dal 1° gennaio 2007, col regolamento n. 1638/2006, il programma MEDA è stato sostituito dallo «strumento europeo di vicinato e partenariato – ENPI», con finanziamenti pari a 11.181 milioni di euro per il periodo 2007/2013[2]. Il partenariato e il coinvolgimento comune sono inquadrati come mezzi di «consolidamento della cooperazione con i vicini» da perseguire «in base ai valori condivisi della democrazia e del rispetto dei diritti umani»[3]. Appunto per tale ragione, si prevede che i «rapporti privilegiati» con i vicini siano imperniati «sull’impegno nei confronti di valori comuni, quali la democrazia, lo Stato di diritto, il buon governo e il rispetto dei diritti umani, nonché dei principi dell’economia di mercato, del commercio aperto, regolamentato ed equo, dello sviluppo sostenibile e della lotta contro la povertà»[4].

Sono, inoltre, previste priorità «per far esplicare il pieno potenziale degli accordi di partenariato e di cooperazione, nonché di associazione»; priorità da convenire di comune accordo per azioni specifiche, tra cui: «il dialogo politico e il processo di riforme politiche, commerciali ed economiche, lo sviluppo sociale ed economico equo, la giustizia e gli affari interni, l’energia, i trasporti, la società dell’informazione, l’ambiente, la ricerca e l’innovazione, lo sviluppo della società civile e i contatti tra i popoli»[5].

Sotto il profilo operativo, il regolamento n. 1638/2006 prevede che l’assistenza comunitaria ai Paesi terzi avvenga attraverso documenti strategici o programmi operativi congiunti (articolo 6), ai quali sono condizionati gli accordi di finanziamento (articolo 9, paragrafo 8).

A fronte di quelle aspettative, ora può retrospettivamente constatarsi che gli obiettivi del processo di Barcellona sono stati raggiunti solo in minima parte [Radwan, Reiffers 2005, 78; Risi 2007; Karray 2008].

La ragione di tale parziale insuccesso sta – probabilmente – nella percezione che del processo si è avuta negli Stati partner dell’Ue. Il disegno era partito per creare un’Unione euromediterranea e la sostituzione di tale prospettiva con quella di una Unione per il Mediterraneo è stata da molti colta come l’attribuzione di un ruolo preminente all’Unione che mortificava il ruolo dei partner. La crisi rappresentativa in molti degli Stati della riva sud del Mediterraneo, con i recenti rivolgimenti politici, e l’ancora irrisolta crisi israelo-palestinese hanno aggravato le difficoltà.

Ma deve anche aggiungersi che il problema non è solo quello di un difficoltoso rapporto con gli Stati partner ma anche, e forse soprattutto, quello della governance dell’Unione e del bilanciamento dei poteri e degli interessi al suo interno. La perdita d’influenza degli Stati membri dell’Europa meridionale e lo spostamento del baricentro delle decisioni europee nell’Europa settentrionale hanno impedito di cogliere le opportunità che i Paesi meridionali e la cosiddetta riva sud del Mediterraneo potessero esprimere in un disegno di largo respiro e di maggiore lungimiranza.

La ricerca ha, però, consentito di constatare che, se il partenariato euromediterraneo non ha colto i successi attesi, l’integrazione mediterranea è proficuamente proseguita su altri terreni, non meno importanti, in particolare con riferimento ai servizi di interesse generale e alla loro regolazione.

2. I servizi d’interesse generale come strumento di coesione economica, sociale e territoriale. Valore comune degli Stati membri e obiettivo politico dell’U.E.

I servizi d’interesse generale, dapprima disciplinati solo in funzione di una limitata deroga alle disposizioni a tutela della concorrenza (ora articolo 106, paragrafo 2, Tfue) [Gardella 2004b; Chiti 2011], si sono visti successivamente riconoscere un ruolo fondamentale nello sviluppo e nella realizzazione degli obiettivi dell’Ue, a cominciare dal perseguimento di «uno sviluppo armonioso dell’insieme dell’Unione» cui è rivolta l’azione di quest’ultima «intesa a realizzare il rafforzamento della sua coesione economica sociale e territoriale» (articoli 174 e 175 Tfue). Le stesse cooperazioni rafforzate tra Stati membri «non possono recare pregiudizio né al mercato interno né alla coesione economica, sociale e territoriale» (articolo 326 del Tfue) [Bergamini 2007, 3 ss.; Gallo 2010; Gardella 2004a, 578; Salerno 2010].

In particolare, l’articolo 14 del Tfue prevede che «in considerazione dell’importanza dei servizi di interesse economico generale nell’ambito dei valori comuni dell’Unione, nonché del loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale, l’Unione e gli Stati membri, secondo le rispettive competenze e nel campo di applicazioni dei trattati, provvedono affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni, in particolare economiche e finanziarie, che consentano loro di assolvere i loro compiti. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante regolamenti …, stabiliscono tali principi e fissano tali condizioni…».

La disposizione subito dopo chiarisce che, fermo il rispetto delle disposizioni del Trattato in materia di tutela della concorrenza e di divieto di aiuti di Stato (articoli 106 e 107 Tfue), è «fatta salva la competenza degli Stati membri, nel rispetto dei trattati, di fornire, fare eseguire e finanziare tali servizi». La coesione economica, sociale e territoriale rientra, infatti, nella competenza concorrente dell’Unione con quella degli Stati membri (articolo 4, paragrafo 2, lettera c, Tfue).

Non c’è, dunque, nel diritto dell’Ue una definizione di servizio d’interesse economico generale che vincoli gli Stati membri. C’è chi l’ha definito «an artificial term of EU law» [Schweitzer 2011, 32]; chi un «contenitore concettuale» [Arena 2011, 180]. Gli Stati sono liberi, nei limiti della proporzionalità, non discriminazione ed effettiva apertura alla generalità degli utenti, di fornire detti servizi. E l’Unione «al fine di promuovere la coesione sociale e territoriale» «riconosce e rispetta l’accesso ai servizi d’interesse economico generale quale previsto dalle legislazioni e prassi nazionali, conformemente ai trattati» (articolo 36 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea).

La decisione del singolo Stato membro, d’altra parte, espone quest’ultimo agli oneri che derivano da tale configurazione del servizio quanto ad accessibilità da parte della collettività e a compatibilità col diritto dell’Ue. Inoltre, la sottrazione – parziale e nei limiti della proporzionalità – del servizio alle regole della concorrenza coincide spesso col riconoscimento di diritti speciali o addirittura esclusivi [Cintioli 2010, 163], in ragione del monopolio naturale che in molti casi vi si ricollega, non attribuiti con criteri di libera competizione sul mercato; e da tale connotazione deriva l’obbligo per il soggetto affidatario del servizio di sottostare alle disposizioni sugli appalti pubblici.

In assenza di una definizione comunitaria del servizio d’interesse economico generale, i Trattati fanno in sostanza riferimento e rinvio ai «valori comuni» [6] e in ogni caso riconoscono tale caratteristica ai servizi che rispondono alla promozione della «coesione sociale e territoriale» in quanto obiettivo politico dell’Unione (articoli 2 del Tue e 14 del Tfue). e il rafforzamento di tale coesione è collegato all’obiettivo della riduzione del «divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite» (articolo 174 del Tfue).

Benché manchi, dunque, quella definizione specifica, la nozione di servizio d’interesse economico generale resta comunque individuata, sia pure per relationem, con riferimento ai valori comuni e al perseguimento dell’obiettivo della coesione come delineata dallo stesso diritto dell’Ue. E, del resto, all’obiettivo della coesione di cui al citato articolo 174 concorrono le reti transeuropee nei settori dei trasporti, delle telecomunicazioni e dell’energia (articolo 170 e ss. Tfue), infrastrutture essenziali per lo svolgimento d’importanti servizi d’interesse economico generale.

3. Servizi d’interesse generale e integrazione euromediterranea. I benefici reciproci delle due “rive” del Mediterraneo.

Considerata la funzione dei servizi d’interesse economico generale, coessenziale alle finalità dell’Ue, è del tutto consequenziale che essi siano presi in considerazione nei rapporti coi Paesi terzi e in particolare con i Paesi con i quali l’Unione vuole stringere rapporti più stretti di cooperazione, vicinato e partenariato (articoli 21 Tue e 208 e ss. Tfue).  Del resto, la connessione tra diritti inalienabili dell’uomo e diritto allo sviluppo, da un lato, e tra sviluppo e pace, dall’altro, è ormai un tema molto avvertito nella cooperazione internazionale allo sviluppo [Forte 2006, 45, 56].

In particolare per quanto attiene all’integrazione mediterranea, già il programma MEDA prevedeva in uno dei suoi macro obiettivi (la cooperazione regionale e transfrontaliera) il finanziamento degli interventi delle infrastrutture (trasporti, comunicazioni, energia) necessarie per gli scambi regionali.

A tale fine il richiamato regolamento (CE) n. 1488/96 recante «misure di accompagnamento finanziarie e tecniche a sostegno della riforma delle strutture economiche e sociali nel quadro del partenariato euro mediterraneo», come modificato dal regolamento (CE) n. 2698/2000, nell’allegato II includeva segnatamente, nel «sostegno al raggiungimento di un migliore equilibrio socioeconomico», «la modernizzazione delle infrastrutture economiche, in particolare nei settori dei trasporti, dell’energia, dello sviluppo rurale e urbano, della promozione delle attività connesse con la società dell’informazione, delle tecnologie dell’informazione e delle telecomunicazioni».

Ancora più specifico è il regolamento n. 1638/2006, anch’esso già citato, che all’articolo 2, paragrafo 1, prevede: «L’assistenza comunitaria incentiverà il consolidamento della cooperazione e la progressiva integrazione economica tra l’Unione europea e i paesi partner e, in particolare, l’attuazione di accordi di partenariato e di cooperazione, di accordi di associazione o di altri accordi presenti o futuri. Essa incoraggerà altresì gli sforzi dei paesi partner volti a promuovere il buon governo e un equo sviluppo sociale ed economico».

Il paragrafo 2, poi, definisce il contenuto dell’assistenza comunitaria, includendovi espressamente settori che rientrano nella configurazione eurounitaria dei servizi d’interesse economico generale: «g) promozione della … gestione sostenibile delle risorse naturali, tra cui le acque …, promozione della cooperazione nei settori dell’energia, delle telecomunicazioni e dei trasporti, soprattutto per quanto riguarda le interconnessioni, le reti e il relativo sfruttamento, miglioramento della sicurezza nel settore dei trasporti internazionali e dello sfruttamento delle fonti di energia e promozione di fonti di energia rinnovabili, dell’efficienza energetica e di trasporti non inquinanti».

Dunque, i servizi d’interesse economico generale costituiscono – ai fini del partenariato euro mediterraneo – quello strumento la cui promozione assicura le profonde riforme strutturali nel campo sociale, economico e amministrativo che una zona di libero scambio postula per i partner mediterranei[7] e su cui l’Unione e gli Stati membri puntano nell’assistenza comunitaria per la realizzazione di un’area di stabilità e prosperità nella regione del Mediterraneo[8].

E si tratta d’interesse reciproco. Perché i paesi membri dell’Ue possono ricevere un aiuto decisivo – nel perseguimento del contenimento delle emissioni nocive, del rispetto dei parametri stabiliti nelle convenzioni sulla salvaguardia dell’ambiente e di sicurezza dell’approvvigionamento energetico nonché dell’equilibrio dei flussi migratori – proprio dagli investimenti nelle reti che erogano servizi d’interesse economico generale realizzati nei paesi dell’area mediterranea. Perché solo la realizzazione di tali reti e la loro interconnessione con le reti Ue possono consentire agli Stati membri l’accesso alle risorse dei paesi della riva sud.

Tali reti e i connessi servizi sono, dunque, presupposto essenziale della possibilità di approvvigionamento di fonti rinnovabili importate da paesi non Ue dell’area mediterranea. Approvvigionamento che è, a sua volta, agevolato dalla direttiva 2009/28/CE, sulla «promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili», con clausole di maggiore flessibilità sull’importazione delle energie rinnovabili da paesi terzi [Quadri 2011, 839].

La rilevanza del tema è d’immediata percezione se si considera che gli obiettivi di Europa 2020 sono: la riduzione delle emissioni di gas serra del 20% rispetto al 1990; la provenienza del 20% del fabbisogno di energia da fonti rinnovabili; l’aumento del 20% dell’efficienza energetica. Nel perseguimento degli obiettivi della citata direttiva 2009/28/CE, il controllo del consumo di energia europeo e il maggiore ricorso all’energia da fonti rinnovabili costituiscono parti importanti del pacchetto di misure necessarie per rispettare il protocollo di Kyoto sui cambiamenti climatici e gli ulteriori impegni assunti a livello comunitario ed hanno un’importante funzione nel promuovere la sicurezza degli approvvigionamenti energetici (Considerando 1). Ciò spinge l’Ue a computare l’elettricità importata, prodotta da fonti energetiche rinnovabili al di fuori della Comunità, e il piano solare mediterraneo ai fini del conseguimento degli obiettivi degli Stati membri (Considerando 39).

I benefici dell’intensificazione della produzione delle energie rinnovabili sono, inoltre, alla base di progetti come «Desertec Industrial Initiative (DII)» che ha tenuto la terza Conferenza nel novembre 2012 a Berlino.

Eppure, le recenti notizie di stampa riportano difficoltà nello sviluppo del progetto[9].

A ciò si aggiunga che un beneficio di ritorno per i paesi membri è costituito dalla fase attuativa dell’assistenza comunitaria e dalle iniziative oggetto del partenariato eurounitario. Basti considerare che il citato regolamento (CE) n. 1638/2006, nella fase dell’attuazione dei programmi e dei progetti finanziati, prevede una disciplina specifica per la partecipazione all’aggiudicazione di appalti e contratti di sovvenzione.

L’articolo 21, in particolare dispone, al paragrafo 1, che: «La partecipazione alle procedure di aggiudicazione degli appalti … nel quadro del presente regolamento sarà aperta a qualsiasi persona fisica avente la cittadinanza di uno Stato membro e a qualsiasi persona giuridica avente sede in uno Stato membro della Comunità, in un paese beneficiario a titolo del presente regolamento, in un paese beneficiario a titolo di uno strumento di assistenza di preadesione istituito dal regolamento (CE) n. 1085/2006 … o in uno Stato membro del SEE». L’ammissione di paesi terzi è subordinata, invece, alla condizione di reciprocità.

È, peraltro, presupposto essenziale di tale accesso alle risorse della riva sud del Mediterraneo che lo sviluppo dei servizi d’interesse generale nei paesi partner dell’Ue di quella riva sia accompagnato da un forte impulso alle stesse reti transeuropee, proprio per garantire la necessaria interconnessione.

Questo impulso, vuoi per ragioni di crisi economica vuoi a causa della debolezza politica dell’Ue, è stato insufficiente negli Stati membri Ue dell’Europa meridionale.

4. La regolazione dei servizi di interesse economico generale nell’area euromediterranea. Il processo di armonizzazione.

Se il progetto d’integrazione euromediterranea collegato al processo di Barcellona e gli strumenti ad esso collegati (accordi di cooperazione e vicinato) hanno mostrato limiti di diversa natura, essenzialmente politica, un supporto a detto progetto è venuto, e con prospettive di ulteriore avanzamento, dall’armonizzazione della regolazione.

La creazione di organismi che riuniscono, da un lato, i regolatori e, dall’altro, gli operatori di sistema dei vari Paesi dell’area mediterranea ha dato impulso ad un processo di omogenizzazione della regolazione. Tale fenomeno è tanto più rilevante se si considera che l’uniformità delle regole è un valore indiscutibile ai fini della sicurezza dell’approvvigionamento, della gestione delle reti, dell’accesso alle stesse e dell’affidabilità degli investimenti [Giglioni 2008, 205 ss.].

Esemplare, in questo senso, è l’evoluzione che si è registrata nel settore dell’energia. Prendendo a parametro la regolazione del mercato dell’energia elettrica, va ricordato che in questo settore sono state create associazioni come MEDREG, che riunisce i regolatori dell’energia elettrica e del gas di 20 paesi dell’area mediterranea, e MEDTSO, organizzazione che riunisce gli operatori di sistemi di trasmissione (TSO) dell’area mediterranea.

MEDREG, che ha a Milano la sede del Segretariato, dal 2007 si avvantaggia del supporto dell’Unione europea e del Consiglio dei regolatori europei dell’energia (CEER); è stata, inoltre, riconosciuta dalla Commissione Industria, Ricerca e Energia del Parlamento europeo, come l’istituzione di riferimento per la regolazione nell’area del Mediterraneo. Dal rapporto quinquennale 2008-2012[10] emerge che l’attività di MEDREG è stata significativa nella prospettiva dell’armonizzazione della regolazione nella regione mediterranea.

Nel Rapporto si affrontano profili istituzionali, come i requisiti essenziali che deve possedere un’Autorità indipendente di regolazione, e profili di armonizzazione della regolazione. Di particolare rilievo per la regolazione del sistema elettrico sono le conclusioni sulle regole da applicare per l’allocazione della capacità di interconnessione tra i diversi paesi e le altre condizioni per un efficace svolgimento del mercato transnazionale che salvaguardi le priorità: sicurezza dell’approvvigionamento, innanzitutto, e poi qualità della fornitura e pianificazione a lungo termine degli investimenti.

In proposito, è interessante esaminare la conclusione cui perviene il Rapporto (punto 2.4) in ordine all’interconnessone tra i sistemi dei vari Stati e alla creazione di un mercato regionale dell’energia elettrica. Secondo il rapporto, il primo passo da compiere è l’armonizzazione delle regole del mercato interno. Ciononostante è in corso un incremento delle interconnessioni quanto al profilo fisico d’interconnessione delle reti. Per completare l’anello della rete attorno al Mediterraneo manca l’interconnessione tra i Balcani e la Turchia. Ma mancano soprattutto, rileva il rapporto, le linee guida comuni per il commercio transnazionale dell’energia elettrica e deve essere migliorata l’armonizzazione delle regole dei mercati interni dei paesi interessati.

Per quanto attiene alle energie rinnovabili, il Rapporto (punto 4.1) evidenzia i limiti che i paesi non Ue dell’area mediterranea incontrano nell’incremento delle energie rinnovabili e nella cogenerazione. Queste barriere sono sia di carattere tecnico, per carenza di conoscenza ed esperienza nel settore, sia di carattere finanziario, per il basso rendimento degl’investimenti in tali energie, sia di carattere regolatorio,  per la carenza di una cornice di norme che risolvano i problemi caratteristici di queste energie, quali l’intermittenza e la necessità d’iniziale promozione attraverso la priorità nel dispacciamento e l’incentivazione nell’accesso al mercato. Il Rapporto raccomanda che i paesi in via di sviluppo ricevano finanziamenti esterni per incrementare la loro capacità di fonti rinnovabili nel quadro dei meccanismi di flessibilità previsti dal protocollo di Kyoto e post-Kyoto («Clean Development Mechanism») e dalla direttiva 2009/28/CE (in particolare l’articolo 9).

Questi livelli sopranazionali di regolazione sono considerati dal Rapporto come essenziali perché, da un lato, impongono (ad esempio la direttiva 2009/28/CE) agli Stati membri di rispettare i tempi previsti dalla legislazione sovranazionale, in modo da essere pronti a cogliere le opportunità delle energie rinnovabili. Dall’altro, contemplano meccanismi di flessibilità che agevolano la negoziazione transnazionale delle predette energie, costituendo quella cornice stabile di regolazione che può agevolarne lo sviluppo nei paesi MEDREG che hanno nel settore potenzialità molto significative (Rapporto, punto 4.4). Il Rapporto individua come aspetti decisivi: l’accordo su progetti che definiscono la quota di energia che resta nel Paese produttore e la quota che può essere esportata a Stati Ue, l’interconnessione delle reti, la creazione di enti certificatori che garantiscano la provenienza da fonti rinnovabili.

La strategia delle energie rinnovabili è, dunque, un buon esempio di come l’armonizzazione della regolazione, anche e specialmente ad opera dell’attività congiunta e coordinata dei regolatori, possa realizzare le condizioni dello sviluppo e dell’integrazione dei servizi d’interesse generale e delle relative reti, consentendo loro di esplicare la funzione propulsiva delle economie e delle riforme economiche e sociali che sono attese dall’integrazione euro mediterranea.

Non a caso nel corso della citata Conferenza di DESERTEC, l’Associazione MEDREG ha osservato che «Regional cooperation must be seen as a necessary precondition for the creation of integrated markets – and lead to the Mediterranean Energy Community by 2020». Ed è intuibile, come ha osservato in quella stessa sede il Commissario Ue per l’Energia Günther Oettinger, <<EU co-funding enables increased synergies between the various key regional cooperation structures dealing with energy such as MEDREG, the Euro-Mediterranean association of the energy regulators and Med-TSO, the Euro-Mediterranean association of TSO“.

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[1] Il programma MEDA conteneva misure di cooperazione per aiutare la riforma delle strutture economiche e sociali. Fu varato nel 1996 (MEDA I) e modificato nel 2000 (MEDA II). Il programma consentiva all’Ue di fornire un aiuto finanziario e tecnico ai Paesi della riva sud del Mediterraneo per sostenere la «transizione economica dei paesi terzi mediterranei e l’istituzione di una zona euromediterranea di libero scambio»; uno «sviluppo socioeconomico sostenibile»; la «cooperazione regionale, subregionale e transfrontaliera». Il regolamento n. 1488/96 (CE), principale strumento della cooperazione economica e finanziaria del partenariato euromediterraneo, all’articolo 3 condizionava gl’interventi al «rispetto dei principi democratici e dello Stato di diritto, nonché dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, …… la cui violazione giustifica l’adozione di misure appropriate». Commissione delle Comunità europee, The euro-mediterranean partnership (Barcelona process), Annual reports on the implementation of MEDA programme, COM (2000) 472, Bruxelles, 2000.

[2] Regolamento n. 1638/2006, considerando (13): «Per i partner mediterranei, l’assistenza e la cooperazione dovrebbero inscriversi nell’ambito del partenariato euromediterraneo …  e dovrebbero tener conto dell’accordo raggiunto in quel contesto per la creazione di una zona di libero scambio per le merci entro il 2010 …».

[3] Regolamento n. 1638/2006, considerando (3) e articolo 1, paragrafo 3: «L’Unione europea si fonda sui valori della libertà, della democrazia, del rispetto per i diritti umani e per le libertà fondamentali e dello Stato di diritto, e cerca, tramite il dialogo e la cooperazione, di promuovere l’impegno verso questi valori da parte dei paesi partner». Si veda anche l’articolo 2, paragrafo 1.

[4] Regolamento n. 1638/2006, considerando (4) e, più dettagliatamente, articolo 2, paragrafo 2.

[5] Regolamento n. 1638/2006, considerando (7) e (8).

[6] Una conferma è rinvenibile nell’articolo 1 del Protocollo n. 26 sui servizi di interesse generale introdotto con il Trattato di Lisbona: «I valori comuni dell’Unione con riguardo al settore dei servizi di interesse economico generale … comprendono in particolare: il ruolo essenziale e l’ampio potere discrezionale delle autorità nazionali, regionali e locali di fornire, commissionare e organizzare servizi …  il più vicino possibile alle esigenze degli utenti; la diversità tra i vari servizi …  e le differenze delle esigenze e preferenze degli utenti che possono discendere da situazioni geografiche, sociali e culturali diverse; un alto livello di qualità, sicurezza e accessibilità economica, la parità di trattamento e la promozione dell’accesso universale e dei diritti dell’utente».

[7] Regolamento n. 1488/96 (CE), considerando (5) e (6).

[8] Regolamento n. 1638/2006, considerando (4): «L’intento è di imperniare i rapporti privilegiati tra l’Unione europea e i suoi vicini sull’impegno nei confronti di valori comuni, quali la democrazia, lo Stato di diritto, il buon governo e il rispetto dei diritti umani, nonché dei principi dell’economia di mercato, del commercio aperto, regolamentato ed equo, dello sviluppo sostenibile e della lotta contro la povertà».

[9] «Lanciato nel 2009 dopo sei anni di gestazione con l’ambizione di soddisfare il 15-20% del fabbisogno elettrico dell’Europa attraverso una rete di centrali solari nell’Africa settentrionale e di impianti eolici nel Mare del Nord, il progetto nelle ultime settimane è sembrato vacillare. La prima grana è stato lo stop da parte della Spagna al lancio della tessera iniziale del mosaico, una centrale termodinamica da 150 MW realizzata nel sud del Marocco in collaborazione tra il Consorzio DII (Desertec Industrial Initiative) e la Masen, l’agenzia nazionale marocchina per l’energia solare». così Valerio Gualerzi su Repubblica.it del 28 novembre 2012.

[10] MEDREG  – Association of Mediterranean Regulators for Electricity and Gas, 5-Year Report 2008/2012.