T.A.R. Piemonte – Torino, Sez. I, sentenza 14 gennaio 2011, n. 32

 

Contratti della P.A. – Gara – Sindacato giurisdizionale di un giudizio di non anomalia dell’offerta – Si limita a ripercorrerne i passaggi ed evidenziare eventuali errori del ragionamento svolto in sede amministrativa.

 

N. 00032/2011 REG.SEN.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1341 del 2009, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Societa’ Rear Soc. Coop., in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandataria del costituendo R.T.I. con soc. coop. COPAT ed S.r.l. Pulintec Servizi (Ora Res Nova S.p.A.);

contro

Regione Piemonte, in persona del Presidente della giunta regionale pro tempore;

nei confronti di

Pierreci Codess Coopcultura Societa’ Cooperativa (Già Societa’ Coop. Codess Cultura) in proprio e quale capogruppo mandataria dell’ATI costituita con società Arethusa s.r.l., Società Servizi Socio culturali cooperativa sociale onlus, Cooperativa Lavoratori Ausiliari del traffico L.A.T., Cooperativa Sociale PG Frassati di produzione e lavoro SCS onlus;

per l’annullamento

del provvedimento 6.11.2009 di aggiudicazione provvisoria e di aggiudicazione definitiva, con i quali sono stati approvati i verbali di gara per l’aggiudicazione dell’appalto relativi ai servizi di emissione biglietti, gestione cassa, accoglienza al pubblico, presidio degli spazi aperti al pubblico, pulizia locali presso la Reggia e i Giardini della Venaria Reale e coordinamento delle precedenti attività all’ATI REAR soc. Coop – CO.PA.T. Soc. Coop – PULINTEC Servizi;

di ogni atto presupposto, ivi comprese le risultanze della consulenza tecnica espletata nel 2007 e quindi nelle sedute del 18.4.2008 e 22.4.2008;

della determinazione dirigenziale 28.12.2009 n. 1487 con cui il dirigente del settore patrimonio della Regione Piemonte ha aggiudicato definitivamente al raggruppamento temporaneo di imprese rappresentato dalla Codess Cultura l’appalto.

 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Piemonte e di Pierreci Codess Coopcultura Societa’ Cooperativa (Già Societa’ Coop. Codess Cultura);

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 novembre 2010 la dott.ssa Paola Malanetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Parte ricorrente ha adito l’intestato Tar deducendo di avere partecipato alla gara per l’aggiudicazione dell’organizzazione e gestione dei servizi di emissione biglietti, gestione cassa, accoglienza pubblico, presidio spazi aperti al pubblico presso la Reggia e i Giardini della Venaria Reale. La durata del servizio era prevista dal 1 giugno 2007 al 31 maggio 2009.

Si classificava primo il raggruppamento di imprese controinteressato e la ricorrente contestava l’anomalia dell’offerta dal medesimo presentata, in particolare in relazione al costo del lavoro; l’amministrazione aggiudicatrice aggiudicava comunque l’appalto e la ricorrente presentava ricorso; con sentenza 41/2008 di questo TAR, passata in giudicato, veniva annullato il provvedimento ritenendosi che l’offerta presentasse sintomi di anomalia non verificati dall’amministrazione. Quest’ultima procedeva quindi all’analisi dell’offerta economica dell’aggiudicataria, giungendo a disporne l’esclusione.

Avverso la determinazione di esclusione proponeva ricorso la controinteressata; anche tale ricorso veniva accolto con sentenza n. 2770/08 di questo TAR, ove si statuiva che l’amministrazione avrebbe dovuto rinnovare la valutazione di anomalia a tal fine però considerando l’offerta nella sua globalità.

La sentenza di primo grado veniva impugnata dalla Regione Piemonte e confermata in appello.

La commissione riconvocava quindi le concorrenti e comunicava che, sulla base di quanto accertato all’atto della prima aggiudicazione in favore della controinteressata la sua offerta doveva ritenersi non anomala; si provvedeva quindi a nuova aggiudicazione nei confronti dell’RTI con mandataria Codess cultura società cooperativa.

Nuovamente insorgeva l’odierna ricorrente Rear e, con ordinanza n. 511/2009 di questo Tribunale, veniva sospesa la riaggiudicazione mandando all’amministrazione di rinnovare, in ottemperanza delle sentenze nelle more intervenute, la valutazione di anomalia sulla scorta delle indicazioni emerse nei due successivi giudizi che avevano coinvolto la procedura. In particolare si disponeva che l’offerta, la cui remuneratività doveva essere complessivamente valutata secondo quanto stabilito con la sentenza 2770/08, venisse specificatamente vagliata in relazione all’originario sintomo di anomalia concernente il costo del lavoro, anch’esso definitivamente riscontrato in giudizio con la sentenza 41/08, giudizi entrambe intervenuti dopo il primo vaglio positivo il quale all’esito del complesso contenzioso era stato semplicemente “richiamato” ai fini dell’ultima riaggiudicazione senza, come invece necessario, complessivamente rinnovarlo.

L’amministrazione rinnovava la nuova verifica di anomalia in ossequio alle indicazioni del TAR e provvedeva, all’esito, a revocare l’impugnata riaggiudicazione a Codess; con successivo provvedimento in data 6.11.2009, alla luce della rinnovata verifica, dichiarava nuovamente provvisoriamente aggiudicatario dell’appalto il raggruppamento temporaneo di imprese rappresentato dalla soc. coop. Codess Cultura.

Veniva quindi dichiara l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse nel procedimento 525/09 nel quale era stata impugnata la riaggiudicazione revocata.

Avverso la terza ed ultima riaggiudicazione del 6.11.2009 insorge ora la ricorrente Rear deducendo i seguenti motivi di diritto:

1)Violazione di legge in relazione all’ordinanza TAR Piemonte n. 511/2009, violazione del giudicato in relazione alla decisione del Consiglio di Stato n. 1734/2009, violazione di legge in relazione all’art. 68 co. 3 del d.lgs. n. 163/2006, contraddittorietà manifesta e difetto di motivazione con violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990.

Evidenzia parte ricorrente che, nell’effettuare la valutazione di complessiva rimuneratività dell’offerta come da ultimo statuito dal Consiglio di Stato, l’amministrazione avrebbe dovuto verificare se la mancata copertura dei costi necessari per l’espletamento del servizio di pulizia potesse essere compensata da utili derivanti da altre componenti dell’offerta; nel fare ciò doveva tenere presente che l’offerta era stata presentata da un raggruppamento temporaneo di imprese, sicchè l’aggiudicataria doveva presentare una plausibile giustificazione di un eventuale spostamento/compensazione di utili e perdite tra un componente il raggruppamento e l’altro. In particolare l’amministrazione aveva accolto la giustificazione fornita dall’aggiudicataria, che ha dichiarato di beneficiare di tutti i vantaggi concernenti il costo del lavoro previsti per le ONLUS; poiché tuttavia l’RTI aggiudicatario non presentava tale natura la verifica era stata carente non avendo in concreto riscontrato la sussistenza dei dichiarati benefici.

2) Eccesso di potere per illogicità manifesta, violazione di legge in relazione agli artt. 15 e 9 del capitolato speciale d’appalto, difetto di motivazione dedotto anche come violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990; l’aggiudicataria di fatto ha gestito il servizio nel periodo giugno 2007-maggio 2008 nel corso del quale molti lavoratori hanno segnalato irregolarità nelle assunzioni e nella gestione dei rapporti di lavoro, circostanza formalmente rappresentata dalla ricorrente alla stazione appaltante; la stazione appaltante ha replicato che le eventuali irregolarità non integravano comunque violazione dell’art. 38 del d.lgs. 163/2006 e quindi non influivano sull’aggiudicazione;

3)Violazione di legge in relazione agli artt. 2 e 6 del capitolato speciale; eccesso di potere per contraddittorietà manifesta e carenze istruttorie e di motivazione. L’offerta dell’aggiudicataria doveva infatti ritenersi non conforme al capitolato quanto alle ore necessarie per l’espletamento dei servizi.

Con successivo ricorso per motivi aggiunti la ricorrente ha impugnato l’aggiudicazione definitiva lamentandone l’illegittimità derivata in relazione ai vizi già dedotti avverso l’aggiudicazione provvisoria. Allega inoltre la sussistenza di specifici vizi del provvedimento di aggiudicazione definitiva individuati come segue:

5)Carenza di potere, violazione di legge in relazione all’art. 3 della l. n. 241/1990 e difetto di motivazione. Nella determinazione di aggiudicazione definitiva l’amministrazione ha demandato la quantificazione dell’importo da corrispondere all’aggiudicatario, l’impegno di spesa e la redazione e sottoscrizione del contratto d’appalto al Consorzio la Veneria Reale, soggetto dotato di autonoma personalità giuridica e costituito con atto notarile del 30.6.2008; non corretto è che il soggetto che ha indetto la gara, determinando anche il preventivo ammontare di spesa, ne accolli a posteriori gli oneri su altro soggetto senza chiarire i reciproci legami.

Si sono costituite l’amministrazione resistente e la controinteressata chiedendo la reiezione del ricorso. Eccepiva la Regione la carenza di interesse in capo alla ricorrente poiché, nelle more dei plurimi giudizi, la ricorrente ha mantenuto l’affidamento in via diretta del servizio, per non interromperne l’erogazione, completando così i due anni di durata dell’appalto in data 31.12.2009. Puntualizzava quindi, quanto al costo del lavoro, che sussiste nel caso di specie statuizione con valore di giudicato, intervenuta con sentenza 2770/08, in relazione alla circostanza che le tabelle ministeriali indicative del costo del lavoro utilizzano valori medi che non precludono la giustificazione di differenti valori; anche in relazione al monte ore correttamente desumibile dal capitolato incomberebbe il giudicato conseguente ai precedenti giudizi. Con specifico riferimento alla censura avverso l’aggiudicazione definitiva deduce l’amministrazione che il “consorzio di valorizzazione culturale della Venaria Reale” è il soggetto giuridico nelle more costituito per la gestione di tutto ciò che concerne detto complesso; conseguentemente l’amministrazione lo ha individuato come soggetto deputato, sul fronte della stazione appaltante, all’attuale gestione del rapporto, senza che la circostanza riverberi alcun effetto sulla legittimità dell’aggiudicazione.

Si è costituito l’RTI aggiudicatario eccependo la carenza di interesse in capo alla ricorrente; sostiene inoltre l’inammissibilità del primo e del terzo motivo di ricorso, in quanto contrastanti con circostanze coperte da giudicato, e del secondo in quanto riproduttivo di precedente motivo proposto con ricorso 525/2009 e conclusosi con la declaratoria di sopravvenuta carenza di interesse. In ogni caso afferma e deduce la sostenibilità dell’offerta in punto costo del lavoro, alla luce del possibile cumulo di differenti regimi contributivi/retributivi di favore di cui la imprese del raggruppamento possono fruire. Quanto al motivo di ricorso avverso l’aggiudicazione definitiva evidenzia l’RTI controinteressato la carenza di interesse in capo alla ricorrente a contestare il soggetto individuato quale mero gestore della fase esecutiva del contratto.

La causa veniva istruita con espletamento di verificazione.

All’esito veniva accolta l’istanza cautelare con ordinanza 348/2010, confermata dal Consiglio di Stato con ordinanza 3031/2010.

DIRITTO

Deve essere respinta la preliminare eccezione di inammissibilità del ricorso per complessiva carenza di interesse al medesimo in capo alla ricorrente.

Se è infatti pacifico che la ricorrente, a cagione del complesso contenzioso che ha interessato la gara, ha, in via diretta e per la necessità di non interrompere il servizio, gestito il medesimo per un tempo pari a quello oggetto dell’originaria gara di appalto, è ugualmente corretto rilevare che tale gestione non si è realizzata in esecuzione della definitiva aggiudicazione della gara, alla cui corretta formalizzazione e quindi esecuzione la ricorrente mantiene interesse.

Occorre chiarire l’oggetto del presente giudizio ed i limiti di interferenza del medesimo con le pregresse plurime statuizioni giurisdizionali (tutte caratterizzate dall’intervenuto passaggio in giudicato), rispettivamente le sentenze di questo TAR n. 41/2008, non impugnata, e n. 2770/2008, confermata in appello.

All’esito del terzo contenzioso (rg. 525/09 di questo TAR, terminato con una statuizione di improcediblità per sopravvenuta carenza di interesse, essendo il provvedimento ivi impugnato stato oggetto di revoca) l’amministrazione ha provveduto a rinnovare il giudizio di anomalia nei termini oggi oggetto di causa. Quindi ha disposto la riaggiudicazione all’RTI controinteressato sulla scorta del provvedimento del 6.11.2009, qui impugnato.

Pare innanzitutto ovvio, in punto di fatto, che, là dove nel presente giudizio si contesta la correttezza della valutazione di anomalia svoltasi in vista della riaggiudicazione del 6.11.2009, nessun “giudicato” può precludere il vaglio delle concrete modalità di tale ultimo giudizio di “non anomalia” poiché il medesimo, successivo a tutto il pregresso contenzioso, non né è stato oggetto nei profili in fatto che specificamente lo caratterizzano.

Resta da valutare se sussistano, e in che termini, dei parametri di partenza della valutazione di anomalia che siano divenuti vincolati e vincolanti per le parti della procedura, alla luce delle sentenze passate in giudicato rese tra le medesime.

Con la sentenza 41/08 è stato accolto il primo motivo di ricorso proposto dall’odierna ricorrente Rear avverso la prima aggiudicazione disposta in favore dell’odierna controinteressata Codess cultura. Affermava la Rear soc. coop che l’amministrazione avrebbe dovuto procedere ad una valutazione di anomalia dell’offerta del raggruppamento rappresentato dalla Codess cultura società cooperativa (oggi Pierreci Codess Coopcultura società cooperativa) in quanto presentante evidenti sintomi di anomalia relativamente al costo del lavoro. Puntualizzava la sentenza, nell’accogliere il ricorso ed enunciare l’obbligo dell’amministrazione di procedere alla valutazione di anomalia dell’offerta dell’aggiudicataria, che il monte ore minimo di pulizia ordinaria evincibile dal capitolato doveva essere individuato in 14.768 ore per i due anni di gara.

Il secondo motivo di ricorso, ugualmente accolto dalla sentenza 41/08, non interferisce sul presente contenzioso, non sovrapponendosi al medesimo; i motivi aggiunti venivano dichiarati assorbiti.

Si ritiene pertanto che, per quanto qui di interesse, si sia formato il giudicato in relazione al ritenuto sintomo di anomalia dell’offerta Codess, nonché al monte ore minimo compatibile (14.768 ore) con i dati di capitolato, chiaramente esplicitato quale ratio dedicendi dell’inoppugnato accoglimento.

Con successiva pronuncia, ugualmente passata in giudicato, n. 2770/08 di questo TAR veniva definito altro ricorso avente ad oggetto la medesima gara e promosso dalle odierne controinteressate (raggruppamento con mandataria Codess), nonché connesso ricorso incidentale proposto da Rear. La sentenza n. 2770/08 dichiarava inammissibile il ricorso incidentale; quest’ultimo aveva nuovamente ad oggetto il monte ore prescritto dal capitolato. Dalla statuizione n. 2770/08 le odierne controinteressate pretendono di desumere vincoli di giudicato nel merito in relazione al ricorso incidentale; la tesi non è accoglibile poiché, come ancora recentemente statuito da C. Stato sez. V 6.12.2010 n. 8549: “le sentenze meramente processuali non sono idonee a dirimere i conflitti soggettivi di merito con l’efficacia di giudicato; tali pronunce realizzano una semplice preclusione di rito, che ha valore solo relativamente a quel giudizio e che non è destinata a ripercuotersi in altro processo successivo”.

Le controinteressate invocano alcune delle affermazioni contenute a suffragio della pronuncia di inammissibilità; tali statuizioni tuttavia possono solo, ai fini del merito, avere il valore di obiter dicta, per la ragione sovraesposta. Valore di giudicato nel merito deve per contro essere riconosciuto sul punto già ricordato alla statuizione 41/08, che ha deciso specificatamente la questione del monte ore. D’altro canto, data la chiarezza della decisione n. 41/08 resa tra le parti e passata in giudicato sullo specifico punto del monte ore minimo, la decisione n. 2770/08, ove letta in termini con la prima puntualmente contrastanti, si sarebbe posta a sua volta in violazione di giudicato.

Il contrasto tuttavia non si ritiene sussistere.

Nella parte in cui affronta il merito della controversia la statuizione n. 2770/08 ha formulato affermazioni di carattere generale, senza scendere al puntuale accertamento dei fatti; la pronuncia si è diffusa nel chiarire, principio generalissimo e pacifico in materia, che il giudizio di anomalia deve coinvolgere l’offerta nel suo complesso. Afferma ivi il collegio che, ove si ravvisi un sintomo di anomalia, esso deve essere contestualizzato nell’ambito della possibile persistente complessiva rimuneratività dell’offerta. Dalla statuizione n. 2770/08, ai fini del presente contenzioso, si ricava allora l’unico “effetto di giudicato” in fatto di aver accertato che il giudizio di anomalia in allora sub iudice non aveva rispettato il suddetto generalissimo principio.

Il punto non ha interferenza alcuna con il presente giudizio che coinvolge, come precisato in premessa, un rinnovato e successivo giudizio di anomalia, che comunque deve seguire la regola di accertare la complessiva rimuneratività dell’offerta, prima che per effetto del giudicato per il preciso dettato normativo sul punto..

In motivazione la sentenza n. 2770/08 si diffonde anche nell’evidenziare che il capitolato lasciava all’offerente la possibilità di “comporre” l’offerta secondo diverse soluzioni, poiché non richiedeva un unico servizio; evidenzia poi che il capitolato non dettava un puntuale monte ore di pulizie. L’argomentazione è generale e non si è spinta a chiarire quale fosse il monte ore rilevante o dirimente o quantomeno minimo; essa non è quindi di per sé incompatibile con la puntuale indicazione della precedente sentenza di un “monte ore quantomeno minimo di 14.768”. L’argomentazione della sentenza 2770/08 è infatti unicamente funzionale a ribadire l’esigenza, tanto pacifica quanto astratta, di una valutazione di anomalia dell’offerta nel suo complesso, esigenza ivi argomentata con plurime affermazioni ma il cui rispetto è stato comunque demandato all’amministrazione, senza di per sé contraddire la pregressa puntuale affermazione contenuta nella sentenza n. 41/08.

D’altronde, volendo per assurdo desumere non desumibili puntuali indicazioni in fatto dalla seconda decisione, si arriverebbe alla conclusione che non vi era per capitolato un monte ore dovuto, neppure minimo, e che quindi mancava in radice un parametro non solo sul quale vagliare la sostenibilità dell’offerta ma, ad essere coerenti, anche sul quale formulare l’offerta, dato mai contestato da nessun concorrente e smentito sia dall’intervenuta presentazione delle offerte sia vieppiù dalla loro plurima valutazione di rimuneratività complessiva effettuata in sede amministrativa, che non può che essersi svolta a partire da un dichiarato e concreto monte ore lavorative che la concorrente interessata ha inteso giustificare.

Infine vi è da considerare che la stessa amministrazione, al di là delle contestazioni mosse dalla difesa tecnica in giudizio, ogni volta in cui ha dovuto procedere alla verifica di anomalia dell’offerta della controinteressata, compresa la valutazione oggi sub iudice, si è spontaneamente attenuta all’indicazione di monte ore minimo attestata dalla prima decisione; ciò senza che la controinteressata smentisse il dato in sede amministrativa, ed anzi arrivando ad affermare che la medesima aveva correttamente giustificato il costo del lavoro.

Alla luce di tali premesse è stata disposta una verificazione nel presente giudizio, previa valorizzazione dei principi affermati dalle precedenti statuizioni, puntualizzando nel quesito di lasciare fermi i “dati di ore e livello retributivo” utilizzati dall’amministrazione in sede amministrativa per pervenire al giudizio di non anomalia dell’offerta. D’altro canto il sindacato giurisdizionale di un giudizio di non anomalia fisiologicamente si limita a ripercorrerne i passaggi ed evidenziare eventuali errori del ragionamento svolto in sede amministrativa. Anche questo aspetto contribuisce a superare le paventate presunte violazioni dei precedenti giudicati potenzialmente derivanti dalla nuova valutazione in giudizio; la verificazione, infatti, ha avuto ad oggetto l’ultima valutazione di anomalia svoltasi in sede amministrativa, a valle di tutto il pregresso contenzioso e non ha inteso interferire con le valutazioni “di ore e di livello” utilizzate in quell’ambito dall’amministrazione, in contraddittorio con la controinteressata, la quale ultima sul punto nulla ha contestato in sede amministrativa; per altro tale valutazione è pervenuta ad un giudizio di sostenibilità dell’offerta.

Nel quesito rivolto al verificatore è stato quindi espressamente indicato di tenere fermi i dati di fatto di orario e livello utilizzati nel parere del 26.10.2009 prodotto dalla Regione; si è poi precisato di tenere conto anche del parere del 3.3.2008 poiché, la stesso tecnico dell’amministrazione, nel parere 26.10.2009, ha richiamato e ribadito, per la valutazione di un servizio, il proprio precedente parere 3.3.2008, acquisito agli atti.

Infine, per le ragioni diffusamente già esposte, si ritiene che i dati minimi di ore di pulizia ordinaria indicati nella sentenza 41/08, di 14768 ore, non casualmente sono stati nel concreto sempre utilizzati dalla parti per valutare l’anomalia (così parere reso alla Regione in data 3.3.2008 e richiamato nel parere in data 26.10.2009), poiché sono congruenti con l’unico accertamento in fatto passato in giudicato nel presente contenzioso, ossia quello di cui alla sentenza 41/08.

L’espletata verificazione ha concluso che correttamente, sin dal parere 3.3.2008, il consulente dell’amministrazione aveva accertato la non congruità dell’offerta dell’aggiudicataria per quanto concerneva il costo orario delle prestazioni di pulizia ordinaria, alla luce dei parametri di contrattazione collettiva. Attestava detto parere, e ribadisce il verificatore, che il costo orario offerto per il servizio di pulizia dall’aggiudicataria risulta pari a 8,394 € orari, inferiore al costo minimo orario ammissibile secondo i parametri della contrattazione collettiva, pur dopo l’applicazione di tutti gli sgravi contributivi ammissibili (in ragione della peculiare soggettività giuridica dell’aggiudicataria in cumulo con eventuali caratteristiche soggettive dei lavoratori); attestano il consulente dell’amministrazione per la fase amministrativa e il verificatore in giudizio che il costo minimo orario evincibile dalla contrattazione collettiva è pari ad € 9,775 per un addetto inquadrato nel primo livello del CCNL imprese pulizia e “tenuto conto di tutti gli sgravi applicabili” (cfr. p. 33 della verificazione).

Deve puntualizzarsi che tale costo minimo orario considerato violato non è punto quello desunto dalle “tendenziali” indicazioni proprie delle tabelle ministeriali bensì quello evincibile dai minimi vincolanti fissati dai contratti collettivi; sul punto è chiaro il prospetto predisposto nel parere acquisito dall’amministrazione nel documento datato 3.3.2008 e prodotto da parte resistente quale allegato B2. D’altro canto ciò è ulteriormente confortato dal conteggio effettuato dal verificatore (che ha invece utilizzato come parametro i dati indicati dalle tabelle ministeriali) ed ha individuato (si cfr. p. 28 e 30) il costo minimo orario dedotto dalle stesse per un operaio di primo livello, ipotizzando un servizio svolto al 100% da soci svantaggiati e quindi ai costi minimi, pari ad € 10.21. La circostanza è logica perché, come noto, la contrattazione collettiva fissa il minimo contrattuale di spettanza del lavoratore; le tabelle ministeriali, predisposte per consentire la valutazione di congruità delle offerte presentate nelle gare in punto costo del lavoro, tengono invece conto, non solo del minimo dettato dalla contrattazione collettiva, ma di ulteriori e maggiori costi che necessariamente gravano in capo all’imprenditore per il fatto di avere dei dipendenti (ad esempio il costo annuo della sicurezza, l’incidenza IRAP e IRES, crf. p. 25 della verificazione), portando quindi fisiologicamente a valori medi superiori. A fronte della ontologica differenza tra questi due parametri di “minimo” si comprende il significato dalla consolidata giurisprudenza che afferma la “giustificabilità” da parte dell’imprenditore di un costo inferiore a quello “tendenziale” indicato dalle tabelle ministeriali, poiché in questa valutazione entrano elementi di “costo” o organizzazione aziendale di cui, con specifica giustificazione, ben si può provare la compressione. Ancora dello stesso medio costo orario contrattuale possono aversi deroghe in applicazione di specifici regimi legali premiali, che tendenzialmente incidono sulla componente previdenziale (ad esempio assunzione di lavoratori in cassa integrazione o disoccupati di lungo corso, che è legalmente incentivata dal punto di vista contributivo) e non su quella strettamente retributiva. Fatta applicazione di queste varianti legali si perviene così ad minimo inderogabile derivante dall’applicazione della contrattazione collettiva che non è suscettibile di ulteriore legittima compressione, perché spettante per contratto al lavoratore.

Il tecnico incaricato dall’amministrazione in data 26.10.2009 di effettuare il giudizio di anomalia, invitato anche ad una valutazione di complessiva rimuneratività dell’offerta riferita a tutti i servizi ha concluso (sul punto trovando in giudizio il conforto del verificatore) che la perdita evidenziata dagli insostenibili costi del settore pulizia risulterebbe compensata dal guadagno realizzato con altre voci della medesima offerta; ciò sarebbe possibile tenuto conto della combinata applicazione, anche per le restanti prestazioni (che anch’esse e per lo più consistono in prestazioni di lavoro dei dipendenti), di una innumerevole serie di sgravi, contributivi e retributivi, derivanti in capo all’RTI aggiudicatario dovuti alla qualità di cooperativa-onlus ed agli sgravi riconosciuti soggettivamente per l’assunzione di particolari tipologie di lavoratori (neo-assunti, lavoratori provenienti dalla mobilità).

La valutazione finale, benché condivisa dal verificatore, pare fallace per almeno due ragioni.

Innanzitutto erra là dove assume l’ulteriore comprimibilità del costo del lavoro dettato dalla contrattazione collettiva oltre i minimi dalla medesima ricavabili, anche una volta tenuto conto di tutti gli sgravi retributivi e contributivi che l’applicazione di regimi legali di favore può comportare. Detto limite appare infatti come minimo ulteriormente incomprimibile là dove il concorrente pacificamente applica il contratto collettivo, salvi i suddetti benefici. Il generale argomento che concerne la complessiva remuneratività dell’offerta economica e consente all’imprenditore di giustificare il fatto di rendere un servizio senza utili o addirittura in perdita perchè compensato da utili connessi ad altre voci della medesima offerta, cade là dove l’imprenditore sostiene di gestire un servizio violando, non i parametri tendenziali di costo del lavoro indicati dalle tabelle ministeriali, bensì i minimi contrattuali dettati dalla contrattazione collettiva che applica.

E’ infatti ovvio che un conto è che il concorrente si giustifichi affermando di subire una perdita su proprie poste di guadagno, compensata con utili altrimenti realizzati, altro conto è che sostenga che un certo servizio non solo non sia per lui remunerativo ma di fatto “accolli” la sottostima di prezzo in capo ai lavoratori, perché comporta una retribuzione inferiore ai minimi imposti dalla contrattazione collettiva di settore, pur tenendo conto di tutti i benefici. La violazione del minimo dettato dalla contrattazione collettiva è insuscettibile di compensazione con utili ricavati in altri ambiti per l’ovvia ragione che il lavoratore, che si vede inadeguatamente retribuito, non partecipa al meccanismo di compensazione di utili e perdite tra i diversi settori operativi, che si realizza in capo all’imprenditore, e resta contestualmente creditore della differenza, azionabile anche in sede contenziosa con ulteriore aggravio di costi per l’impresa.

Il raggruppamento aggiudicatario non ha giustificato l’offerta dichiarando di rispettare i minimi contrattuali correttamente calcolati, eventualmente finanziandoli con utili di altri settori, bensì ha tentato di giustificare un costo del lavoro che, all’esito delle verifiche, non risulta sostenibile poiché, pure applicando i regimi di vantaggio di cui l’aggiudicataria afferma di godere, non si perviene a detto risultato. Nè spetta all’amministrazione, e tanto meno al giudizio, fornire all’interessato giustificazioni alternative rispetto a quelle che sono state prospettate nel corso della valutazione di anomalia. Per non sostituirsi tanto all’autonomia imprenditoriale del concorrente quanto alla discrezionalità tecnica che caratterizza la verifica di anomalia, il Tribunale non può che limitarsi a ripercorrere gli argomenti e le giustificazioni dedotte in sede amministrativa e valutarne la congruità. Nel caso di specie si è verificato che la Codess non ha dimostrato di applicare correttamente quelli che sin dalla verifica in sede amministrativa del 3.3.2008 sono risultati essere i minimi contrattuali dovuti per le retribuzioni, anche tenuto conto di tutti i possibili sgravi.

La verificazione svoltasi nel presente giudizio, come già la valutazione amministrativa a monte, è stata poi oggetto di vivace contestazione della ricorrente anche quanto al sistema utilizzato per dedurne la finale complessiva rimuneratività. Sono state contestate in particolare le modalità di conduzione della verifica che, come già in sede amministrativa, non avrebbero rispettato l’esigenza di procedere ad un controllo in concreto degli addotti sgravi contributivi in capo alla controinteressata.

Anche questa tesi è meritevole di considerazione e tuttavia pare al collegio che, anche alla luce delle conclusioni cui il verificatore è pervenuto, e persistendo in capo al Tribunale la facoltà di valutare autonomamente i dati acquisiti tramite la verifica, il ricorso possa comunque trovare accoglimento, senza necessità di rinnovare l’indagine. Essa dovrebbe per di più essere affidata a diverso verificatore, a fronte delle contestazioni mosse da parte ricorrente circa presunti legami del verificatore (individuato dal collegio demandando al presidente dell’ordine dei consulenti del lavoro, indicato come organo e non noto nominativamente, di scegliere a sua volta un iscritto all’ordine) con il tecnico che ha assistito l’amministrazione nella fase non contenziosa; non si ritiene tuttavia necessaria tale rinnovazione, che implicherebbe la necessità di scegliere un nuovo tecnico, per la già evidenziata insanabile ragione di anomalia.

Ad ogni buon conto risulta corretto quanto affermato dalla ricorrente; la sostenibilità dell’offerta concretamente formulata deve essere giustificata in base alla concretezza degli elementi che la compongono.

Il quesito sul punto richiedeva al verificatore di ricostruire i contenuti delle valutazioni effettuate dall’amministrazione “alla luce della documentazione eventualmente necessaria”, chiarendo da “quali elementi specifici” fosse ricavabile la complessiva rimuneratività dell’offerta.

Si chiedeva quindi di valutare se fosse possibile per la controinteressata sostenere l’offerta, intendendo ovviamente tale “possibilità” come possibilità concreta e non astratta; il verificatore si è diffuso nell’elencazione teorica di tutti i possibili sgravi oggettivi e soggettivi di cui imprenditori simili a quelli componenti l’RTI possono godere; ha quindi ricostruito il teorico costo del lavoro, ipotizzando i massimi sgravi derivanti ad esempio dall’applicazione di benefici per l’assunzione di lavoratori provenienti dalla mobilità e in generale disagiati o disoccupati di lunga data, o per l’impiego di lavoratori tutti privi di specifica anzianità ecc. La ricostruzione puramente teorica è ovviamente inidonea a rispondere al quesito poiché occorre capire, alla luce quantomeno dell’organico aziendale, ed eventualmente individuati i lavoratori che l’impresa indica di voler destinare all’esecuzione del contratto, che effettivamente l’aggiudicataria era in condizione di adibire all’appalto tutti lavoratori al costo minimo raggiungibile, perché tutti realmente presentanti i requisiti oggettivi e soggettivi idonei a comportare gli sgravi massimi ammessi dalla normativa. Tanto è il senso stesso della verifica di anomalia, che non è volta ad accertare le “teorica sostenibilità dell’offerta”, già smentita dal sintomo di anomalia, bensì le concrete giustificazioni offerte, che possono per contro smentire sintomi teorici di anomalia con il conforto di dati reali e comprovati.

Poiché tuttavia le verifiche disposte hanno comunque portato a concludere che, anche individuato in 9,775 € orari il teorico costo minimo contrattuale dopo l’applicazione di tutte le agevolazioni, questo stesso minimo è violato dai parametri di offerta dell’aggiudicataria, si ritiene a questo punto non utile riaprire l’istruttoria per verificare se “nel concreto” tale parametro minimo fosse praticabile dalla concorrente poiché, per le ragioni già esposte, essa potrebbe al limite legittimamente comprovare un costo orario appunto di 9,775 € comunque non compatibile con l’offerta ancor più bassa formulata.

La domanda deve pertanto trovare accoglimento senza dare corso ad ulteriore istruttoria.

Gli ulteriori motivi restano assorbiti; deve evidenziarsi tuttavia come le eventuali inadempienze dall’aggiudicatario quale datore di lavoro in sede esecutiva non sono di per sé idonee ad influire sulla legittimità dell’aggiudicazione, così come non si ravvisano illegittimità nel successivo passaggio di gestione del rapporto, sul fronte dell’appaltante, ad altro soggetto, tanto più essendo trascorso, a cagione del perdurante contenzioso, un lungo lasso di tempo.

L’obiettiva difficoltà del contenzioso, anche costellata di plurime decisioni giudiziarie giustifica l’integrale compensazione delle spese, ivi comprese le eventuali spese di verificazione.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

accoglie il ricorso e per l’effetto annulla gli atti impugnati nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.

Compensa le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 18 novembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Franco Bianchi, Presidente

Richard Goso, Primo Referendario

Paola Malanetto, Referendario, Estensore

 

L’ESTENSORE                                                                                                                                              IL PRESIDENTE

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 14/01/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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