T.A.R. Toscana, Firenze, Sez. II, 13 ottobre 2010, n. 6457

 

Contratti della P.A. – Gara – Omessa dichiarazione di tutte le condanne penali – Esclusione – Legittimità

 

N. 06457/2010 REG. DEC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale

per la Toscana (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 634 del 2008, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Medusa Costruzioni s.r.l., Elettrotermotecnica di Ucciero Tammaro e C. s.n.c., Castellana Società Cooperativa a r.l., N.P. Costruzioni s.r.l., S. Pianese Costruzioni Generali s.c.a.r.l., I.C.E.M. s.r.l. Impresa Costruzioni Edile Meridionale, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, tutte rappresentate e difese dall’avv. Gaetano Montefusco, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Claudio Gattini in Firenze, via Maggio n. 30;

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro Pro tempore, Prefettura di Napoli, in persona del Prefetto pro tempore, e Provveditorato Interregionale Opere Pubbliche Toscana Umbria, in persona del Provveditore pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Firenze, presso cui domiciliano per legge in Firenze, via degli Arazzieri, 4;

nei confronti di

– Consorzio Etruria s.c.a.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Fausto Falorni, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo in Firenze, via dell’Oriuolo n. 20;
– Hdi Assicurazioni s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;

per l’annullamento,

previa sospensione,

1) quanto al ricorso:

a) della determina provveditoriale n. 298/c del 7/03/08 del Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche di Toscana e Umbria di Firenze, con la quale è stata annullata in via di autotutela l’aggiudicazione provvisoria dell’appalto relativo ai lavori di primo stralcio del restauro e adeguamento funzionale del complesso demaniale di rilevante interesse storico-artistico denominato Villa Salviati nel Comune di Firenze in via Bolognese e via Faentina assegnato dal Governo Italiano all’Istituto Universitario Europeo e destinato a sede degli Archivi Storici dell’Unione Europea e alle attività dipartimentali e amministrative dell’Istituto;

b) della successiva nota prot. 306 del 12/03/08, con la quale il Provveditorato ha richiesto all’Impresa Assicuratrice HDI Assicurazioni s.p.a. il pagamento di euro 49.908,00 attivando la polizza fideiussoria a garanzia degli obblighi di gara;

c) del bando e delle modalità di gara;

d) dell’informativa interdittiva antimafia della Prefettura di Napoli, ignoti numero e data, resa dall’ufficio con nota prot. I/27080/Area 1ter/O.S.P. e richiamata nell’atto impugnato sub a);

e) della nota 341/L del 17/03/08 di rifiuto all’accesso ai documenti;

f) del verbale di procedura aperta del 27/03/08, col quale è stato aggiudicato l’appalto all’Impresa Consorzio Etruria soc. coop. a r.l. con sede in Montelupo Fiorentino;

g) di ogni altro atto preordinato o connesso e consequenziale;

2) quanto ai motivi aggiunti depositati in data 22 aprile 2008:

h) dell’informativa interdittiva antimafia della Prefettura di Napoli del 18.2.2008 prot. n. I/16072/Area1/ter/Osp;

i) dei rapporti di polizia, ignoti numeri e data, con cui risulta controllato dalle FF.O. nel corso degli anni 2005, 2006 e 2007 in compagnia di pregiudicati il Sig. Gennaro Mallardo;

l) delle ignote e non datate sedute del G.I.A. nei quali il prefato organismo, avrebbe preso atto del contenuto dei non meglio definiti elementi cognitivi privi di data forniti dalle FF.O., che sarebbero significativi sotto il profilo della possibile presenza di tentativi di infiltrazioni malavitose nella gestione della Medusa S.r.l.;

m) del giudizio di prognosi sfavorevole in termini di infiltrazione camorristica, privo di numero e data che il G.I.A. avrebbe formulato esprimendo l’avviso che possa essere adottato nei confronti dalla Soc. Medusa Costruzioni S.r.l. un provvedimento antimafia interdittivo ex art. 10 del D.P.R. 252/98;

n) di ogni altro atto preordinato o connesso e consequenziale;

3) quanto ai motivi aggiunti depositati il 14 luglio 2008:

o) del decreto provveditorale n. 2090 FLF1/2311 del 29 aprile 2008 comunicato il 28 maggio 2008 del Provveditorato Interregionale per le opere pubbliche Toscana-Umbria di Firenze con il quale è stato aggiudicato in via definitiva al “Consorzio Etruria soc. coop. a r.l.” con sede in Montelupo Fiorentino ed in sostituzione dell’ATI ricorrente l’appalto relativo ai “lavori di primo stralcio del restauro ed adeguamento funzionale del complesso demaniale di rilevante interesse storico-artistico denominato Villa Salviati nel Comune di Firenze in via Bolognese e Via Faentina assegnato dal Governo Italiano all’Istituto Universitario europeo e destinato a sede degli Archivi Storici dell’Unione Europea e alle attività dipartimentali ed amministrative dell’Istituto.

Visto il ricorso ed i motivi aggiunti, con i relativi allegati;

Visto il decreto cautelare presidenziale n. 399/2008 del 16 aprile 2008;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno, della Prefettura di Napoli e del Provveditorato Interregionale Opere Pubbliche Toscana-Umbria nonchè del Consorzio Etruria scarl, con la relativa documentazione;

Viste le ordinanze cautelari di questa Sezione n. 418/08 del 23 aprile 2008 e della Sezione Terza n. 716/08 del 25 luglio 2008;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del 4 giugno 2010 il Primo Referendario Ivo Correale e uditi per le parti i difensori come specificato nel relativo verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso a questo Tribunale, notificato il 7 aprile 2008 e depositato il successivo 15 aprile, la Medusa Costruzioni srl, unitamente a altre ditte di costituenda ATI, rappresentava di essere cessionaria di azienda dall’ICEM Impresa Costruzioni Edilizia Meridionale e, di conseguenza, di essere subentrata all’impresa cedente anche nella qualità di capogruppo della costituenda ATI con le altre imprese indicate in epigrafe, individuata come aggiudicataria provvisoria della gara d’appalto bandita per l’affidamento dei lavori di primo stralcio del restauro ed adeguamento funzionale del complesso demaniale denominato “Villa Salviati”.

Le imprese ricorrenti rammentavano quindi che, in seguito alla verifica delle dichiarazioni effettuate ai sensi dell’art. 75 d.p.r. n. 445/2000 ed all’acquisizione delle informative “antimafia” dalla Prefettura di Firenze e dalla Prefettura di Napoli, risultavano presunte difformità tra tali dichiarazioni e le circostanze rappresentate nella suddetta documentazione nonché dei contenuti negativi delle suddette interdittive, tanto da portare la stazione appaltante all’annullamento in autotutela dell’aggiudicazione provvisoria in questione, con conseguente richiesta di attivazione della polizza fideiussorie a garanzia degli obblighi di gara.

Le ricorrenti, quindi, chiedevano l’annullamento, previa sospensione anche mediante provvedimento cautelare monocratico, dei provvedimenti indicati in epigrafe, lamentando quanto segue.

“PRIMO MOTIVO Violazione di legge. Violazione dell’art. 4 del D.Lg.vo n. 490/1994 e dell’art. 10 del D.P.R. n. 252/1998. Eccesso di potere per sviamento della causa tipica per elusione di garanzie costituzionali e per elusione del giudicato penale, civile ed amministrativo. Ancora eccesso di potere per ingiustizia manifesta e per violenza morale. Eccesso di potere per carenza di istruttoria, travisamento dei fatti e irragionevolezza. Eccesso dio potere per difetto di motivazione”.

Le ricorrenti, pur chiedendo l’acquisizione in giudizio dell’informativa prefettizia non a loro nota fino a quel momento, affermavano che la stessa si inseriva in un evidente disegno persecutorio in atto da parte di alcuni funzionari e dipendenti delle forze di polizia facenti capo al Ministero degli Interni, attestato da un contenzioso in atto avanti al TAR Campania e al Tribunale Civile di Napoli, nonostante l’esito favorevole dell’esame giudiziario che aveva coinvolto il geom. Giovanni Mallardo e la sua famiglia, nella quale era entrato l’amministratore della Medusa Costruzioni srl sposando una delle sue figlie.

Del tutto immotivate risultavano infatti le definizioni del Mallardo quale soggetto in qualche modo contiguo alla criminalità organizzata e con precedenti penali per associazione a delinquere, anche di stampo mafioso, secondo un intento “persecutorio” che durava da circa venti anni e che non era mai sfociato in sentenze di condanna.

Le ricorrenti ricordavano poi numerosi precedenti in cui era stata ordinata la sospensione dell’attività di accettazione di scommesse sportive ed era stata disposta l’esclusione da gare della ICEM srl perché la moglie del sig. Mallardo era la relativa amministratrice. In proposito, le ricorrenti ricordavano che i problemi per il sig. Mallardo erano sorti quando la sorella della di lui moglie convogliò a sua volta a nozze con un personaggio di spicco della malavita napoletana facendo così ritenere agli organi inquirenti che lui fosse associato al relativo “clan” camorristico, circostanza invece esclusa dal Tribunale di Napoli, con sentenza di proscioglimento del 13 novembre 1987.

Pur subendo la richiesta di misure di prevenzione, ai sensi della l.n. 1423/56, e di sequestro e confisca di quote di talune sue società, il sig. Mallardo vedeva rigettate tali richieste, nuovamente dal Tribunale di Napoli, con provvedimenti resi tra il 1998 e il 1999, così come risultava prosciolto, in data 4 novembre 1995, dall’accusa di influenzare scelte amministrative del Comune di Quarto in associazione con altri amministratori.

Stigmatizzando l’operato delle forze di polizia che, nonostante varie assoluzioni e proscioglimenti, continuavano a ritenere il sig. Mallardo coinvolto in affari delittuosi, le ricorrenti, quindi, chiedevano l’esibizione dell’interdittiva impugnata ed evidenziavano la violazione di diritti costituzionali che configuravano uno sviamento di potere.

SECONDO MOTIVO Violazione e falsa applicazione dell’art. 75 del D.P.R. n. 554/99 – Omessa applicazione artt, 460 5° comma c.p.p. – Motivazione perplessa e insufficiente, eccesso di potere per difetto di presupposti, illogicità ingiustizia manifesta. Ancora eccesso di potere per disparità di trattamento, violazione del giusto procedimento e contraddittorietà rispetto ai criteri direttivi fissati dal Ministero e dall’Autorità di vigilanza”.

Le ricorrenti si riferivano al provvedimento di esclusione, rilevando che in esso si faceva riferimento ai certificati del casellario giudiziale del direttore tecnico della Medusa Costruzioni, dell’amministratore e direttore tecnico della Elettromeccanica di Ucciero Tammaro & C. e dell’amministratore unico della N.P. Costruzioni srl, che avrebbero attestato condanne penali non dichiarate in sede di autocertificazione.

Le ricorrenti evidenziavano in merito che i reati erano estinti e che il richiamo giurisprudenziale contenuto nel provvedimento impugnato non era conferente, in quanto riferibile all’esistenza di una sentenza per la quale il reato non era estinto, mancando un provvedimento di riabilitazione.

Nel caso di specie, inoltre, non esisteva alcuna dichiarazione mendace in quanto non esistevano sentenze di condanna ma semplici decreti penali, peraltro per reati estinti ai sensi dell’art. 460, comma 2, c.p.p. e con effetti penali del tutto cessati.

In particolare, le ricorrenti evidenziavano che il decreto penale di condanna nei confronti del sig. Tammaro era in realtà riferito ad un omonimo e gli altri decreti risalivano comunque al 1995, periodo di ben anteriore a quello di due o cinque anni fissato per la dichiarazione di estinzione ex art. 460, comma 5, c.p.p., secondo un principio applicabile anche alle fattispecie considerate, in virtù del principio del “favor rei” di cui all’art. 11, comma 1, delle “preleggi”.

In tal senso, la norma di cui all’art. 75, lett. c), DPR n. 554/99 non era applicabile in quanto l’Amministrazione appaltante doveva comunque tenere conto della gravità dell’infrazione e del tempo trascorso nonchè della possibile dimenticanza, o addirittura mancata conoscenza, di tali lontani provvedimenti da parte degli interessati, considerando che le medesime ditte avevano svolto altri appalti senza che fosse stata mai osservata la violazione suddetta.

“TERZO MOTIVO Violazione artt. 3,7,22, 24 e 25 legge 241/90. eccesso di potere per travisamento dei fatti difetto di motivazione. Violazione del giusto procedimento. Illogicità e ingiustizia manifesta.”

L’Amministrazione aveva omesso di indicare l’autorità presso cui ricorrere e il termine per la proposizione del ricorso e non aveva reso disponibile l’atto richiamato a fondamento della decisione presa, rifiutando ingiustificatamente la relativa richiesta di accesso. Risultava poi omessa anche la comunicazione di avvio del procedimento, non sussistendo ragioni di urgenza che giustificavano tale comportamento, tenendo anche conto che tutta la documentazione richiesta era pervenuta alla stazione appaltante prima della sua decisione.

Con il decreto cautelare monocratico indicato in epigrafe era respinta l’istanza proposta ex art. 3 l.n. 205/2000.

Si costituivano in giudizio le amministrazioni indicate in epigrafe nonché la società controinteressata, chiedendo la reiezione del ricorso, come separatamente illustrato, per quel che riguardava quest’ultima, in separata memoria.

Con atto contenente motivi aggiunti, depositato alla camera di consiglio del 22 aprile 2008, le ricorrenti chiedevano anche l’annullamento, previa sospensione, degli ulteriori provvedimenti indicati in epigrafe, successivamente conosciuti, lamentando quanto segue.

Eccesso di potere per contraddittorietà manifesta e per avviamento della causa tipica per elusione di garanzie costituzionali e per illusione del giudicato penale. Eccesso di potere per carenza di istruttoria, travisamento dei fatti ed irragionevolezza. Eccesso di potere per difetto di motivazione, ingiustizia manifesta per violenza morale. Falsità archeologica per alterazione di notizie. Violazione di legge. Violazione art. 479 c.p.”.

Le ricorrenti si soffermavano sul contenuto dell’interdittiva prefettizia, ribadendo, in sostanza, quanto già dedotto del ricorso introduttivo in ordine all’assenza di qualunque coinvolgimento del sig. Giovanni Mallardo, nonchè di suo figlio Gennaro, in associazioni a delinquere anche di stampo mafioso, richiamando i precedenti provvedimenti giudiziari di proscioglimento o assoluzione ed evidenziando l’insussistenza di particolari intrecci societari idonei a configurare attività imprenditoriali non trasparenti nonché ponendo l’accento su una sorta di persecuzione ordita dalle forze di polizia per colpire una “colpa per parentela” che in realtà violava i principi costituzionali più rilevanti.

Violazione di legge. Violazione dell’art. 4 del D.lg.vo n. 490/1994 e dell’art. 10 del D.P.R. n. 252/1998. Violazione della Circolare ministeriale n. 559/1998. Ancora eccesso di potere per difetto di motivazione.”

L’applicazione delle misure di polizia che il legislatore aveva individuato in relazione all’informativa antimafia e che risultavano applicate nel caso di specie imponevano, però, una congrua motivazione mentre, nel caso di specie, si era proceduto soltanto a contestare genericamente la frequentazione di soggetti non specificati e definiti pregiudicati da parte del sig. Gennaro Mallardo, senza approfondire i motivi che portavano a tale frequentazione che, ad ogni modo, non risultava sfociata nella commissione di alcun reato.

Con la prima ordinanza cautelare indicate in epigrafe, era rigettata la relativa richiesta di sospensione dei provvedimenti impugnati.

Con un secondo atto contenente motivi aggiunti, depositato il successivo 14 luglio, le ricorrenti chiedevano anche l’annullamento, previa sospensione, dell’ulteriore provvedimento indicato in epigrafe con il quale era stata disposta l’aggiudicazione definitiva alla società controinteressata.

In particolare, era lamentato quanto segue.

1) Illegittimità derivata”.

Gli ulteriori provvedimenti impugnati erano viziati per illegittimità derivata, secondo quanto già illustrato nel ricorso introduttivo.

2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 75 del D.P.R. n. 554/99 – Omessa applicazione artt. 460 5° comma c.p.p. – Motivazione perplessa insufficiente, eccesso di potere per difetto di presupposti, illogicità e ingiustizia manifesta. Ancora eccesso di potere per disparità di trattamento, violazione del giusto procedimento e contraddittorietà rispetto dei criteri direttivi fissati dal Ministero e dall’Autorità di vigilanza”.

Rifacendosi a recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, le ricorrenti richiamavano il principio secondo il quale il reato risulta estinto semplicemente con il trascorrere del termine stabilito nella norma del codice di procedura penale richiamata in epigrafe. In particolare, l’estinzione di ogni effetto penale ivi considerata doveva operare automaticamente, per cui non era necessaria una esplicita richiesta di riabilitazione, ai sensi dell’art. 178 c.p., e la dichiarazione di non aver subito sentenze di condanna non poteva essere considerata quindi mendace, anche in relazione alla “ratio” dell’art. 75 cit. che vuole che la pubblica amministrazione contragga con società i cui titolari, amministratori e direttori tecnici siano persone affidabili moralmente e professionalmente.

Le ricorrenti, poi, riproponevano le censure di cui al ricorso introduttivo, lamentando la mancata considerazione del tempo trascorso e dell’entità dei reati oggetto di decreto penale da parte della stazione appaltante.

3) Violazione artt. 3,7,22,24 e 25 legge 241/90: Eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto di motivazione. Violazione del giusto procedimento. Illogicità e ingiustizia manifesta.

4) Violazione di legge. Violazione dell’art. 4 del D.Lg.vo n. 490/1994 e dell’art. 10 del D.P.R. n. 252/1998. Eccesso di potere per sviamento della causa tipica per illusione di garanzie costituzionali e delusione del giudicato penale, civile ed amministrativo. Ancora eccesso di potere per l’ingiustizia manifeste per violenza morale. Eccesso di potere per carenza di istruttoria, travisamento dei fatti e ragionevolezza. Eccesso di potere per difetto di motivazione e per contraddittorietà manifesta. Violazione di legge. Violazione ert. 479 c.p.

5) Violazione di legge. Violazione dell’art. 4 del D.Lg.vo n. 490/1994 e dell’art. 10 del D.P.R. n. 252/1998. Violazione della Circolare ministeriale n. 559/1998. Ancora eccesso di potere per difetto di motivazione”.

Le ricorrenti attestavano che con tali tre motivi richiamavano integralmente le argomentazioni spese nelle ricorso e nei primi motivi aggiunti.

In prossimità della nuova camera di consiglio per la trattazione della domanda cautelare, le parti intimate e costituite in giudizio depositavano ulteriori memorie a sostegno delle rispettive tesi difensive.

In particolare, la società controinteressata eccepiva l’inammissibilità dei secondi motivi aggiunti perché depositati oltre il termine dimezzato di cui all’art. 23 bis l.n. 1034/71, intendendo come “dies a quo” quello di consegna all’ufficiale giudiziario del plico per il perfezionamento della notifica o, al più tardi, quello della ricezione della stessa, avvenuta in date 23-24 giugno 2008.

Tale inammissibilità, poi, secondo la società controinteressata, comportava l’improcedibilità, per sopravvenuta carenza di interesse, dell’originario ricorso, proposto, tra l’altro, contro il verbale di aggiudicazione provvisoria, nonché dei primi motivi aggiunti.

Con la seconda ordinanza cautelare indicate in epigrafe era nuovamente rigettata la domanda di sospensione degli ulteriori provvedimenti impugnati.

Le determinazioni cautelari di questo Tribunale risultavano, poi, confermate entrambe in sede di appello avanti al Consiglio di Stato, con due distinte ordinanze della Sesta Sezione pronunciate in data 21 ottobre 2008.

In prossimità della pubblica udienza tutte le parti costituite depositavano memorie ad ulteriore illustrazione delle proprie tesi.

Alla pubblica udienza del 4 giugno 2010 la causa era trattenuta in decisione.

Il 16 giugno 2010 era pubblicato il dispositivo della presente sentenza.

DIRITTO

Il Collegio può anticipare che il ricorso introduttivo non può essere dichiarato improcedibile per carenza di interesse in relazione alla dichiarazione di improcedibilità e inammissibilità dei secondi motivi aggiunti, rivolti ad annullare l’aggiudicazione definitiva, sia perchè tale conclusione processuale non può essere condivisa, per quanto sarà in seguito illustrato, e sia perché oggetto della domanda di annullamento erano anche la determina provveditoriale con cui era annullata in via di autotutela l’aggiudicazione provvisoria, la successiva nota con la quale era richiesta l’attivazione della polizza fideiussoria, entrambi provvedimenti lesivi degli interessi delle ricorrenti.

Semmai, il ricorso può essere dichiarato improcedibile per carenza di interesse in relazione al rifiuto all’accesso ai documenti, comunque poi conosciuti dalle ricorrenti in corso di causa e impugnati con i successivi motivi aggiunti, nonchè all’aggiudicazione provvisoria, dato che – come noto – l’impugnazione dell’aggiudicazione provvisoria è meramente facoltativa e che l’aggiudicazione definitiva dell’appalto non va considerata atto meramente confermativo o esecutivo, ma provvedimento che, anche quando recepisca i risultati dell’aggiudicazione provvisoria, comporta comunque una nuova ed autonoma valutazione degli interessi pubblici sottostanti, con conseguente necessità di autonoma impugnazione in quanto costituente atto definitivo lesivo (Cons. Stato, Sez. V, 6.4.09, n. 2143). Sotto tale profilo ne consegue che, allo stato, le ricorrenti non nutrono interesse all’accoglimento della domanda di annullamento dell’aggiudicazione provvisoria di cui al ricorso introduttivo, in quanto rivolta avverso atto endoprocedimentale i cui effetti sono stati assorbiti dall’aggiudicazione definitiva intervenuta successivamente e, comunque, successivamente conosciuta e impugnata con (i secondi) motivi aggiunti..

Il ricorso introduttivo, comunque, si manifesta inammissibile per quanto riguarda la richiesta di annullamento del bando e delle modalità di gara, in quanto non risultano proposti motivi specifici avverso gli stessi.

Chiarito ciò, il Collegio rileva che il provvedimento provveditoriale del 7 marzo 2008 che dispone l’annullamento in autotutela è fondato su una duplice motivazione. Infatti, è chiaramente illustrato in esso che, a seguito di acquisizione d’ufficio dei certificati del casellario giudiziale relativi ai direttori tecnici o agli amministratori delle ditte indicate, erano emerse difformità rispetto a quanto dichiarato dagli stessi in sede di offerta, essendo state pronunciate sentenze di condanna nei confronti dei suddetti, non comunicate in sede di gara, nonostante la precisazione, contenuta nel modello di autocertificazione approntato, che competeva esclusivamente alla committente valutare se il reato commesso precludeva o meno la partecipazione alla gara di appalto, considerato che sussisteva l’obbligo di dichiarare in sede di gara tutte le condanne riportate, al fine di porre l’Amministrazione in grado di conoscere tutte le sentenze penali subite, con la conseguenza che l’omessa dichiarazione costituiva dichiarazione non veritiera e rappresentava, come tale, autonoma causa di esclusione o di annullamento dell’aggiudicazione anche perché, nel caso di specie, i reati oggetto di due decreti di condanna erano relativi a violazione di norme dettate nell’interesse della comunità e costituivano elementi tali da incidere sull’affidabilità professionale nonché morale del raggruppamento aggiudicatario in via provvisoria.

Solo su tale dirimente e assorbente profilo si soffermava la motivazione del provvedimento di esclusione, per cui il Collegio rileva anche l’inammissibilità del primo motivo di ricorso che si sofferma sul contenuto di un’informativa resa dalla Prefettura, tra l’altro neanche all’epoca conosciuta e di cui si chiedeva l’esibizione in giudizio, che costituiva soltanto un secondario elemento su cui era fondata l’esclusione.

Infatti, nello stesso provvedimento del 7 marzo 2003 è specificato che “…data la particolare destinazione dell’immobile oggetto dell’appalto, destinato ad un Organismo internazionale, questo Istituto ha comunque ritenuto opportuno richiedere, per maggiore cautela, la informativa antimafia rispettivamente con nota n. 1842 del 7 novembre 2007…e con nota n. 1965/C del 4 dicembre 2007…”.

Solo dopo aver evidenziato che i motivi dell’esclusione erano fondati sull’omessa dichiarazione, il Provveditore specificava che, ad ogni modo, non risultava ancora trasmessa da parte del raggruppamento aggiudicatario la documentazione richiesta relativa alla composizione societaria ai sensi del DPCM n. 187/91 delle imprese componenti il raggruppamento medesimo, il DURC, la polizza fideiussoria e l’atto costitutivo del raggruppamento e che era pervenuta la nota dalla Prefettura di Napoli contenente un’informativa interdittiva nei confronti della Medusa Costruzioni srl che giustificava, anche sotto un profilo cautelare, la revoca dell’appalto.

In tal modo appare evidente che la ragione dell’annullamento dell’aggiudicazione provvisoria era principalmente fondata sull’omessa dichiarazione e la sussistenza dell’interdittiva in questione acquisiva solo un carattere complementare.

In tal senso, sorreggendosi il provvedimento impugnato su una duplice, autonoma motivazione, ne consegue che la legittimità dell’una pone come irrilevante la doglianza sull’altra.

Il provvedimento a motivazione plurima, infatti, non può essere annullato qualora uno solo dei motivi fornisca autonomamente la legittima e congrua giustificazione della determinazione adottata e nel caso in cui il provvedimento amministrativo sia sorretto da più ragioni giustificatrici tra loro autonome, è sufficiente a sorreggere la legittimità dell’atto la fondatezza anche di una sola di esse. TAR Friuli, 11.2.10, n. 101; Cons. Stato, Sez. IV. 2012.02, n. 7251; TAR Lazio, Sez. II ter, 24.10.07, n.10469; TAR Lombardia, Bs, 6.12.89, n. 1144; CGARS, 20.12.88, n. 211).

Per valutare la rilevanza delle censure di cui al primo motivo, quindi, appare necessario valutare anche quanto dedotto con il secondo motivo, orientato tutto avverso l’autonoma motivazione legata all’omessa dichiarazione.

Ebbene, tale motivo si palesa infondato.

In merito, il Collegio osserva che la giurisprudenza più recente ha chiarito che non è condivisibile la conclusione per la quale non già la dichiarazione di cui all’art. 75 DPR n. 554/99 bensì l’effettiva sussistenza o meno del requisito costituisca ragione dell’esclusione o meno dalla procedura ad evidenza pubblica e ciò perché tale dichiarazione è, in realtà, richiesta per una finalità che non è solo di garanzia sull’assenza di ostacoli di natura etica all’aggiudicazione del contratto, ma anche per una ordinaria verifica sull’affidabilità dei soggetti partecipanti, tanto che non si comprenderebbe il meccanismo di verifica a campione, se quest’ultimo non fosse connesso alla obbligatorietà di una dichiarazione, che costituisce il sistema di riferimento per valutare la lealtà dei richiedenti (Cons. Stato, Sez. V, 12.6.09, n. 3742).

La necessità di dichiarare tutti i provvedimenti penali subiti, quindi, risponde alla finalità di consentire all’Amministrazione la più ampia valutazione del caso concreto, per stabilire la rilevanza o meno di una data condanna penale. Tale rilevanza dei fatti oggetto delle pronunce penali ai fini della successiva valutazione del possesso dei requisiti da parte del concorrente, non è infatti rimessa all’apprezzamento dell’impresa partecipante alla gara che ha, invece, l’obbligo di dichiarare tutte le condanne penali emesse nei suoi confronti, con la conseguenza che la loro omessa indicazione nell’ambito di un’autocertificazione si atteggia come autocertificazione non veritiera cui consegue l’esclusione dalla gara.

Può concludersi anche che la mancata dichiarazione da parte dell’imprenditore dell’esistenza di condanne penali a suo carico costituisce, quindi, una circostanza che ha valore autonomo e che incide sulla sua moralità professionale, anche indipendentemente da un’espressa previsione di esclusione automatica nella lex specialis (Cons.Stato, Sez. V, 18.9.03, n. 5320, 2.10.09 n. 6006, 20.4.09, n. 2364; T.A.R. Lombardia, Mi, Sez. I, 18.5.10, n. 1565 e 19.06.2008 n. 2096).

Tali conclusioni, poi, non possono fare distinzioni in ordine alle modalità della condanna, comprendendo la fattispecie di cui all’art. 75 DPR n. 554/99 anche quella del decreto penale di condanna (TAR Sicilia, Pa, Sez. III, 16.7.08).

In sostanza, nel caso in cui un soggetto partecipante a gara per l’affidamento di un appalto pubblico fa ricorso alla forma dell’autocertificazione quanto alla dimostrazione del possesso dei prescritti requisiti, esso deve dare conto di tutte le condanne subite perché l’Amministrazione possa effettuare la valutazione della loro rilevanza sull’affidabilità morale e professionale, quindi anche di quelle che non compaiono nel certificato emesso su richiesta, ivi comprese le condanne su richiesta ex art. 444 c.p.p. o per decreto penale, con la conseguenza che la falsa (o omessa) dichiarazione comporta l’esclusione del dichiarante dalla gara o l’annullamento di un’aggiudicazione già pronunciata (TAR Veneto, Sez. I, 6.2.06, n. 286; TAR Palermo, Sez. II, 23.5.05, n. 846; Cons. Stato, Sez. V, 25.11.02, n. 6482).

A ciò si aggiunga che appare dirimente la circostanza per la quale il Modello B che i rappresentanti delle ricorrenti erano chiamate a sottoscrivere ai sensi della normativa richiamata, indicava specificamente che la dichiarazione doveva precisare che non era “…stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile…N.B. Competerà, esclusivamente, alla committente di valutare se il reato commesso precluda o meno la partecipazione all’appalto”.

Alla luce di tale ricostruzione, quindi, non appare rilevante neanche quanto illustrato dalle ricorrenti in ordine all’estinzione di ogni effetto penale conseguente al trascorrere del lasso di tempo indicato dalla normativa vigente di cui all’art. 460 c.p.p.

Per quanto illustrato, infatti, la valutazione discrezionale della stazione appaltante non è legata agli effetti penali della condanna in sé o all’estinzione del reato ma all’apprezzabilità dei fatti materiali per i quali il decreto di condanna (o altra sentenza) è stato emesso, ai fini del giudizio di affidabilità morale e professionale che il mero trascorrere del tempo non può intaccare (Cons. Stato, Sez. V, 25.1.03, n. 352; TAR Lazio, Sez. III, 28.7.04, n. 7484; TAR Lombardia, Mi, Sez. III, 7.6.04, n. 2360), come confermato nel provvedimento impugnato, ove è chiaramente indicato che almeno due decreti di condanna si riferivano a violazione delle norme antinfortunistiche dettate nell’interesse della comunità e tali da incidere sull’affidabilità professionale e morale.

Parimenti infondato è anche il terzo motivo del ricorso introduttivo.

Come più volte ribadito dalla giurisprudenza, infatti, l’omessa indicazione nel provvedimento amministrativo del termine di impugnazione e dell’Autorità a cui ricorrere costituisce mera irregolarità, che non incide né sulla validità né sull’efficacia del provvedimento stesso, ma che al più, e nel concorso di significative ulteriori circostanze, può dar luogo alla concessione del beneficio della rimessione in termini (tra tante: Cons. Stato, Sez. VI, 16.5.06, n. 2763; T.S.A.P., 20.5.09, n. 92; TAR Campania, Na, Sez. I, 3.7.08, n. 6817; TAR Piemonte, Sez. II, 3.9.08, n. 1856; TAR Lazio, Lt, 17.1.07, n. 39), nel caso di specie non necessario in quanto le ricorrenti hanno proposto nei termini e davanti all’Autorità giudiziaria competente il loro gravame.

Così pure, per quanto detto in precedenza, non si rileva la mancata allegazione dell’interdittiva prefettizia come causa di violazione dell’art. 3 l.n. 241/90, in quanto la motivazione dell’annullamento in autotutela non era legata all’informativa in esame ma comunque alla falsa dichiarazione in ordine alla sussistenza di condanne penali.

Parimenti deve concludersi in ordine alla lamentata violazione dell’art. 7 l. cit., in quanto, in tema di appalti pubblici, non sussiste l’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento nel caso di revoca dell’aggiudicazione provvisoria, trattandosi di atto attinente al procedimento di gara la cui conclusione è l’atto di aggiudicazione definitiva, oppure (come nel caso di specie) un provvedimento di revoca (o annullamento) dell’aggiudicazione provvisoria in caso di accertata insussistenza dei requisiti di partecipazione o violazione delle prescrizioni che regolano la stessa gara .

In tema di appalti pubblici, il verbale di aggiudicazione, infatti, è impegnativo nei soli confronti della società aggiudicataria e non anche dell’Amministrazione che ha bandito la gara, la quale è tenuta a svolgere un’ulteriore attività di verifica in ordine alla regolarità della procedura e all’opportunità e convenienza nel quadro dell’interesse pubblico, potendo giungere all’annullamento della gara stessa senza obbligo di particolari motivazioni. E’ quindi legittima la revoca o annullamento dell’aggiudicazione provvisoria giustificati da un nuovo apprezzamento della fattispecie in base a circostanze sopravvenute, essendo collegati ad una facoltà insindacabile dell’Amministrazione che non si inserisce in alcun rapporto contrattuale, ma che attiene ancora alla scelta del contraente, in cui la P.A. ha la possibilità di valutare la persistenza dell’interesse pubblico all’esecuzione delle opere appaltate (TAR Lazio, Sez. II ter, 9.11.09, n. 10991).

Nel caso di specie, inoltre, non è risultato impedito alcun contraddittorio con le imprese, in quanto la motivazione del provvedimento impugnato era inerente alla successiva valutazione di un’autodichiarazione, come esplicitamente prescritto nelle “Modalità di partecipazione” alla gara in esame, e non di documentazione ulteriore.

Passando all’esame dei primi motivi aggiunti, il Collegio rileva la loro inammissibilità.

Con essi, infatti, le ricorrenti chiedono l’annullamento dei provvedimenti ivi indicati relativi all’informativa interdittiva prefettizia, solo allora conosciuta, e dei collegati provvedimenti e rapporti, alcuni ancora indicati come ignoti, che contenevano prognosi sfavorevoli in termini di infiltrazione camorristica a proposito di alcuni soggetti riconducibili alle società in ATI.

Ebbene, come evidenziato in precedenza, l’annullamento dell’aggiudicazione è avvenuto anche per la motivazione contenuta del provvedimento 7 marzo 2008 n. 298/C relativa alla omessa dichiarazione di condanne riportate e non solo sulla sussistenza o sul contenuto di informative prefettizie, sia pur richieste facoltativamente (come evidenziato nel provvedimento in questione ove si specifica che “…data la particolare destinazione dell’immobile oggetto dell’appalto, destinato ad un Organismo internazionale, questo Istituto ha comunque ritenuto opportuno richiedere, per maggiore cautela, la informativa antimafia rispettivamente con nota n. 1842 del 7 novembre 2007…e con nota n. 1965/C del 4 dicembre 2007…”).

Le due doglianze illustrate nei primi motivi aggiunti, invece, si soffermano esclusivamente sul contenuto dell’interdittiva prefettizia impugnata e sulle vicende storiche relative, del tutto inconferenti con la legittimità dell’annullamento disposto, che si regge su un autonomo motivo, legato – si ripete – alla omessa dichiarazione, del tutto avulso dal contenuto dell’interdittiva e del contesto storico cui la stessa si riferisce.

Anche volendo considerare autonomamente la richiesta di annullamento dell’interdittiva in questione – ferma restando l’inammissibilità dei motivi aggiunti nei confronti degli altri provvedimenti indicati in epigrafe alle lettere i),l),m),o) aventi la natura di meri atti endoprocedimentali e neanche individuati tutti dalle ricorrenti – il Collegio osserva che, per quanto dedotto in precedenza, l’eventuale annullamento dell’interdittiva in questione non comporterebbe alcun vantaggio per le ricorrenti nella vicenda connessa all’annullamento dell’aggiudicazione provvisoria, in quanto quest’ultima si fonda su una motivazione autonoma, idonea da sola a sorreggere la legittimità della determinazione adottata dal Provveditore Regionale.

Si ricorda infatti che lo strumento dei motivi aggiunti, anche dopo la conformazione di cui alla l.n. 20572000, deve sempre riguardare questioni connesse con il ricorso introduttivo.

Ai fini dell’ammissibilità della presentazione di motivi aggiunti a un ricorso pendente, quindi, il concetto di connessione rilevante deve essere riferito all’attitudine dei diversi provvedimenti ad incidere su una medesima situazione di fatto la quale può ritenersi sussistente ove sia ravvisabile l’unicità del rapporto sostanziale, nel senso che le vicende in considerazione corrispondono ad un’unica contestazione e rappresentano episodi di una medesima lesione, quanto meno sotto il profilo teleologico (TAR Puglia, Ba, Sez. III, 29.9.09, n. 2159; Cons. Stato, Sez. V, 19.3.07, n. 1307; Tar Em-Rom, Pr, 9.2.10, n. 46).

Nel caso di specie ciò non accade, in quanto alle ricorrenti è stata formulata una duplice contestazione, ciascuna idonea a legittimare il provvedimento impugnato.

A ciò si aggiunga anche che, per costante giurisprudenza, le informazioni prefettizie rilevanti ai fini della liceità della contrattazione pubblica, cui fanno riferimento l’art. 4 D.L.vo 8 agosto 1994 n. 490 e soprattutto l’art. 10 comma 7 D.P.R. 3 giugno 1998 n. 252 consistono, da un lato, in informazioni tipiche (i cui presupposti sono l’esistenza di provvedimenti giudiziari o di provvedimenti che dispongano le misure di prevenzione) e, dall’altro, in informative atipiche (basate su elementi oggetto di valutazione esclusivamente da parte dell’Autorità amministrativa e costituenti una forma di tutela particolarmente anticipata) ed entrambe le suddette informative sono caratterizzate dalla loro efficacia interdittiva diretta, nel senso che, una volta compiuto l’accertamento di polizia con esito sfavorevole per l’impresa soggetta a verifica, si determina per l’Amministrazione un vincolo assoluto ostativo della stipulazione o dell’approvazione del contratto o, nelle ipotesi eccezionali in cui questo sia già intervenuto, la possibilità di una sua revoca (Tar Sicilia, Pa, Sez. I, 15.2.10, n. 1866 e Sez. II, 8.7.09, n. 1227; Cons. Stato, Sez. VI, 14.4.09, n. 2276; TAR Lazio, Sez. III, 1.7.08, n. 6348; TAR Campania, Na, Sez. I, 30.12.05, n. 20720 e Sez. III, 5.12.07, n. 15777).

In relazione ai secondi motivi aggiunti, il Collegio ritiene di non condividere l’eccezione di tardività degli stessi.

Risulta infatti, dalla documentazione depositata in giudizio, che l’ultima notificazione degli stessi sia stata ricevuta dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli il 27 giugno 2008. Tenendo conto che i 15 giorni successivi “scadevano” il 12 luglio successivo e che tale giornata cadeva di sabato, il termine ultimo per il deposito era quello del 14 luglio 2088, rispettato dalle ricorrenti, dato che, ai sensi dell’art. 155, comma 5, cpc, aggiunto dall’art. 2, comma 1, l. 28.12.05 n. 263 — applicabile anche al processo amministrativo — il termine processuale scadente il sabato deve intendersi “ope legis” prorogato al primo giorno seguente non festivo (Cons. Stato, Sez. VI, 2.10.07, n. 5090; TAR Veneto, Sez. I, 30.12.09, n. 2700).

Si ricorda che in tema di notificazione degli atti amministrativi, il principio secondo il quale gli effetti si producono per il notificante al momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario e per il destinatario al momento della ricezione effettiva dell’atto stesso trova applicazione solo con riferimento ai termini già pendenti al momento della notificazione (ad esempio, il termine per impugnare), mentre non è applicabile con riferimento ai termini processuali non ancora pendenti e che iniziano a decorrere proprio dell’atto di notificazione (ad esempio, termine per il deposito del ricorso o termine per l’iscrizione a ruolo); pertanto, in questi ultimi casi il termine processuale comincia a decorrere non già dalla consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, ma dal perfezionamento dell’intero procedimento notificatorio (CGARS, 22.6.06, n. 303; Cons. Stato, Sez. V, 7.7.05, n. 3754).

Ne consegue che il termine per il deposito del ricorso (e dei motivi aggiunti) decorre dalla data di consegna dello stesso al destinatario, in quanto la regola del perfezionamento della notificazione per il notificante dal momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario si applica per stabilire la tempestività della notifica dell’atto e non anche ai fini della tempestività del deposito del ricorso (Cons. Stato, Sez. V, 29.3.10, n. 1782 e 16.6.09, n. 878).

Alla luce di quanto illustrato, perciò, non può procedersi alla dichiarazione di tardività dei secondi motivi aggiunti e di improcedibilità del ricorso e dei primi motivi aggiunti, come eccepito dalla società controinteressata.

Passando all’esame di detti secondi motivi aggiunti, si rileva che il primo motivo è infondato, in quanto non sussiste, per quanto sopra illustrato in ordine all’inammissibilità e/o infondatezza del ricorso e dei primi motivi aggiunti, l’illegittimità derivata lamentata.

Con il secondo motivo aggiunto le ricorrenti insistono nella tesi, già evidenziata nel ricorso introduttivo, secondo la quale la stazione appaltante non aveva tenuto conto dell’estinzione degli effetti penali, ai sensi dell’art. 460, comma 5, c.p.p.

Sul punto non può che rimandarsi a quanto già sopra dedotto, in relazione alla circostanza per la quale la valutazione della stazione appaltante non è legata agli effetti penali ma al fatto originante la condanna in sé considerato, in relazione al giudizio di affidabilità morale e professionale.

Il motivo, quindi, si palesa infondato, così come si palesano infondati i restanti tre motivi, che si limitano a richiamare le argomentazioni spese nel ricorso e nei primi motivi aggiunti.

Alla luce di quanto dedotto, quindi, il ricorso ed i motivi aggiunti devono in parte essere dichiarati inammissibili e in parte rigettati.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sezione 2^

1) in parte dichiara inammissibile il ricorso in epigrafe ed in parte lo rigetta;

2) dichiara inammissibili i primi motivi aggiunti in epigrafe;

3) in parte dichiara inammissibili i secondi motivi aggiunti in epigrafe e in parte li rigetta;

4) condanna le società ricorrenti, in solido, a corrispondere al Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche Toscana e Umbria, e al Consorzio Etruria s.c.a.r.l. le spese di lite, che liquida in euro 3.000,00 oltre accessori di legge, a favore di ciascuno.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del 4 giugno 2010 con l’intervento dei Magistrati:

Maurizio Nicolosi, Presidente

Ivo Correale, Primo Referendario, Estensore

Pierpaolo Grauso, Primo Referendario

     
     
L’ESTENSORE  

IL PRESIDENTE

     
   
   
   
   

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 13/10/2010

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

IL SEGRETARIO

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