ENERGIE ALTERNATIVE E RINNOVABILI E TUTELA DEL PAESAGGIO: IL RUOLO DELL’AMMINISTRAZIONE

Prof. Avv. Carlo Malinconico
Ordinario di Diritto dell’Unione Europea presso l’Università Tor Vergata di Roma

Sommario 1. Premessa. Il ruolo delle energie alternative a tutela dell’ambiente. Impegni comunitari e internazionali.- 2. Incentivazione delle energie alternative e tutela dei beni ambientali. Competenze legislative. La giurisprudenza della Corte Costituzionale.- 3. Incentivazione delle energie alternative e tutela dei beni ambientali. Competenze amministrative.- 4. L’articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 e l’autorizzazione unica. Rapporti con il Codice dei beni culturali e del paesaggio e con l’autorizzazione ambientale integrata.- 5. Orientamenti giurisprudenziali sul ruolo dell’amministrazione nella comparazione di interessi rilevanti in materia.- 6. La rilevanza della motivazione.- 7. Il principio dell’autorizzazione unica. Il modello dell’autorizzazione integrata ambientale.- 8. La competenza regionale e il ruolo dei Comuni.- 9. Il procedimento.- 10. Il termine del procedimento.- 11. Valore dell’autorizzazione.- 12. Le linee guida statali.

1. Premessa. Il ruolo delle energie alternative a tutela dell’ambiente. Impegni comunitari e internazionali.
Tra le fonti energetiche, le fonti rinnovabili rappresentano un potenziale per l’attuazione degli obiettivi di protezione ambientale e sviluppo sostenibile che sono alla base delle convenzioni internazionali in materia e, segnatamente, del Protocollo di Kyoto sui cambiamenti climatici.
Per raggiungere tali obiettivi, il Protocollo di Kyoto, approvato dall’Unione europea con decisione del Consiglio del 25 aprile 2002, propone, come mezzi di azione per gli Stati, di istituire o rafforzare le politiche nazionali di riduzione delle emissioni (attraverso il miglioramento dell’efficienza energetica, lo sviluppo di fonti di energia rinnovabili, ecc.) e di cooperare con le altre parti contraenti (ad esempio, mediante scambi di esperienze o di informazioni e coordinamento delle politiche nazionali, preordinati a migliorarne l’efficacia).
Va poi considerato che la tutela dell’ambiente occupa una posizione decisamente centrale nell’ordinamento giuridico dell’Unione europea.
In relazione al profilo più specifico del ruolo delle energie alternative a tutela dell’ambiente, la direttiva 77/01/CE del 27 settembre 2001, “sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità”, recepita a livello nazionale dal decreto legislativo n. 387 del 29 dicembre 2003, afferma, tra i suoi “considerando”, che:
“1. Il potenziale di sfruttamento delle fonti energetiche rinnovabili è attualmente sottoutilizzato nella Comunità. Quest’ultima riconosce la necessità di promuovere in via prioritaria le fonti energetiche rinnovabili, poiché queste contribuiscono alla protezione dell’ambiente e allo sviluppo sostenibile. Esse possono inoltre creare occupazione locale, avere un impatto positivo sulla coesione sociale, contribuire alla sicurezza degli approvvigionamenti e permettere di conseguire più rapidamente gli obiettivi di Kyoto. Bisogna pertanto garantire un migliore sfruttamento di questo potenziale nell’ambito del mercato interno dell’elettricità.
2. La promozione dell’elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili è un obiettivo altamente prioritario a livello della Comunità, come illustrato nel Libro bianco sulle fonti energetiche rinnovabili, per motivi di sicurezza e diversificazione dell’approvvigionamento energetico, protezione dell’ambiente e coesione economica e sociale. Ciò è stato confermato dal Consiglio nella risoluzione dell’8 giugno 1998 sulle fonti energetiche rinnovabili, e dal Parlamento europeo nella risoluzione sul Libro bianco. (…)
12. La necessità di un sostegno da parte delle pubbliche autorità alle fonti energetiche rinnovabili è riconosciuta nella disciplina comunitaria degli aiuti di Stato per la tutela dell’ambiente che, tra le altre opzioni, tiene conto della necessità di internalizzare i costi esterni della produzione di energia elettrica. A tale sostegno pubblico continueranno comunque ad applicarsi le disposizioni del trattato, e in particolare gli articoli 87 e 88”.
La politica internazionale e quella dell’Unione europea, dunque, riconoscono ormai da anni la necessità di promuovere le fonti energetiche rinnovabili che sono ritenute essenziali nella tutela dell’ambiente.
Parallelamente, la nozione stessa di tutela dell’ambiente propria del diritto nazionale si va progressivamente ampliando rispetto al suo contenuto tradizionale, in virtù degli impegni comunitari e internazionali assunti dallo Stato italiano, di talché il cosiddetto “diritto all’ambiente”, inteso come diritto di ciascuno a godere di un ambiente sano, si evolve nella direzione di un vero e proprio “diritto dell’ambiente”, da proteggere come risorsa in sé.

2. Incentivazione delle energie alternative e tutela dei beni ambientali. Competenze legislative. La giurisprudenza della Corte Costituzionale.
L’esigenza di incentivare la produzione delle energie alternative si muove su due linee principali: da un lato, la facilitazione dell’accesso al relativo mercato, dall’altro la semplificazione delle procedure di realizzazione degli impianti di generazione.
Siffatti interventi nella materia delle energie devono tenere conto, tuttavia, dei molteplici interessi coinvolti. Si fa riferimento, in particolare, alla tutela del paesaggio.
Un ruolo di assoluta centralità nel contemperamento e nella composizione degli interessi pubblici è svolto, attraverso i meccanismi legislativi di autorizzazione, dalle Pubbliche Amministrazioni.
Nell’assetto costituzionale vigente, la competenza legislativa in materia di tutela del paesaggio e dell’ambiente spetta allo Stato in via esclusiva; ciò è stato, anche di recente, ribadito dalla Corte Costituzionale con riguardo ai casi in cui la disciplina legislativa statale incida su materie di competenza concorrente, quali ad esempio la produzione, la distribuzione ed il trasporto dell’energia o il governo del territorio.
In tal caso, la Corte ha ritenuto che la norma regionale che disciplina profili di competenza concorrente è incostituzionale ove essa si ponga in contrasto con principi fondamentali posti a tutela dei menzionati beni dal legislatore statale (cfr. Corte Cost. 9 novembre 2006, n. 364 che ha dichiarato incostituzionale l’articolo 1, comma 1, della legge regionale Puglia 11 agosto 2005 n. 9 che prevedeva una sospensione delle procedure di autorizzazione contrastante con il principio fondamentale posto dall’articolo 12, comma 4, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, il quale fissa un termine massimo per la conclusione del relativo procedimento).
L’assetto delle competenze legislative, in caso di incidenza della disciplina volta a tutela dell’ambiente su materie diverse, eventualmente attribuite alla competenza concorrente tra Stato e Regioni, è soggetto di una recentissima pronuncia della Corte Costituzionale (29 maggio 2009, n. 166) sull’articolo 12, comma 10, del decreto legislativo n. 387 del 2003.
Tale norma prevede che «In conferenza unificata, su proposta del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del Ministro per i beni e le attività culturali, si approvano le linee guida per lo svolgimento del procedimento di cui al comma 3, relativo al rilascio dell’autorizzazione per l’installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili”.
Secondo la Corte, “Tale disposizione è da ritenersi espressione della competenza statale in materia di tutela dell’ambiente, in quanto, inserita nell’ambito della disciplina relativa ai procedimenti sopra cennati, ha quale precipua finalità quella di proteggere il paesaggio.
Il legislatore, infatti, oltre a prevedere il coinvolgimento del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del Ministro per i beni e le attività culturali, ha espressamente sancito, nella medesima norma, che le linee guida «sono volte, in particolare, ad assicurare un corretto inserimento degli impianti, con specifico riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio».
La prevalenza della tutela paesaggistica perseguita dalla disposizione in esame, non esclude che essa, in quanto inserita nella più ampia disciplina di semplificazione delle procedure autorizzative all’installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili, incida anche su altre materie (produzione trasporto e distribuzione di energia, governo del territorio) attribuite alla competenza concorrente.
La presenza delle indicate diverse competenze legislative giustifica il richiamo alla Conferenza unificata, ma non consente alle Regioni, proprio in considerazione del preminente interesse di tutela ambientale perseguito dalla disposizione statale, di provvedere autonomamente alla individuazione di criteri per il corretto inserimento nel paesaggio degli impianti alimentati da fonti di energia alternativa, cosa che è avvenuta per effetto del richiamo, operato dall’art. 6 all’atto di indirizzo, di cui alla delibera della Giunta regionale 13 dicembre 2004, n. 2920, con conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione”.
Anche l’Autorità per l’energia elettrica e il gas, come è stato ribadito dalla giurisprudenza costituzionale (cfr. Corte Cost. 28 marzo 2009, n. 88), opera sul piano della competenza statale esclusiva, nel senso che la legge statale può assegnare all’Autorità medesima, nel rispetto dei criteri indicati dall’articolo 118 della Costituzione, le funzioni amministrative di cui lo Stato è titolare, o di cui possa comunque rivendicare legittimamente l’esercizio. Ciò è stato precisato, sia in quanto sussistano le condizioni per la chiamata in sussidiarietà a livello centrale del compito in questione (cfr. Corte Cost. n. 303 del 2003), sia in quanto, in casi eccezionali, il diritto comunitario imponga “normative statali derogatrici della normale distribuzione costituzionale delle competenze interne” (cfr. Corte Cost. n. 126 del 1996).
La natura “unitaria a livello nazionale” dei compiti delle Autorità indipendenti (cfr. Corte Cost. n. 482 del 1995 e n. 256 del 2007, entrambe relative all’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici), infatti, è propriamente connaturata alla finalità di assicurare una regolazione ed un controllo uniforme di settori della vita civile soggetti all’azione amministrativa, in relazione ai quali la parcellizzazione della disciplina normativa e degli interventi regolatori implicherebbe non solo il difetto delle condizioni tecniche necessarie alla funzionalità del mercato in oggetto, ma, talvolta, la stessa compromissione dei principi costituzionali alla cui osservanza le regole del mercato debbono conformarsi; in tale prospettiva, spetta alla Corte valutare, di volta in volta, la sussistenza di tali presupposti nel caso di specie.
Si è pertanto affermato, sul tema del collegamento degli impianti alla rete elettrica, che, pur incidendo la relativa disciplina sulla materia energetica oggetto di potestà legislativa concorrente ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, non è difforme dalla Costituzione “riconoscere un ruolo fondamentale agli organi statali nell’esercizio delle corrispondenti funzioni amministrative” (cfr. Corte Cost. n. 6 del 2004), secondo l’indirizzo assunto dalla normativa statale di riordino dell’intero settore energetico (cfr. Corte Cost. n. 383 del 2005), sebbene a seguito della introduzione di adeguati meccanismi di leale collaborazione, ove ritenuti costituzionalmente necessari.

3. Incentivazione delle energie alternative e tutela dei beni ambientali. Competenze amministrative.
Con riguardo all’esercizio delle funzioni amministrative, la Corte Costituzionale ha affrontato la questione se il legislatore statale avesse invaso la competenza regionale, non essendosi limitato a stabilire i principi fondamentali della materia, ma essendosi spinto a disciplinare, in termini analitici, il procedimento di rilascio dell’autorizzazione per la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica.
Sul punto la Corte ha precisato che “in effetti, è incontestabile che la disciplina impugnata non contiene principi fondamentali volti a guidare il legislatore regionale nell’esercizio delle proprie attribuzioni, ma norme di dettaglio autoapplicative e intrinsecamente non suscettibili di essere sostituite dalle Regioni. Tuttavia, occorre considerare che il problema della competenza legislativa dello Stato non può essere risolto esclusivamente alla luce dell’art. 117 Cost. È infatti indispensabile una ricostruzione che tenga conto dell’esercizio del potere legislativo di allocazione delle funzioni amministrative secondo i principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza di cui al primo comma dell’art. 118 Cost., conformemente a quanto già questa Corte ha ritenuto possibile nel nuovo assetto costituzionale (cfr. sentenza 303 del 2003).
Conseguentemente, per giudicare della legittimità costituzionale della normativa impugnata, è necessario non già considerarne la conformità rispetto all’art. 117 Cost., bensì valutarne la rispondenza da un lato ai criteri indicati dall’art. 118 Cost. per la allocazione e la disciplina delle funzioni amministrative (parametro quest’ultimo del resto esplicitamente invocato dalle Regioni ricorrenti), dall’altro al principio di leale collaborazione, così come questa Corte ha già avuto modo di evidenziare nella richiamata sentenza n. 303 del 2003.
Quanto appena affermato rende evidente l’infondatezza delle censure concernenti la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., nonché di quelle relative alla violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), formulate dalla Regione Umbria.(…)
Affinché nelle materie di cui all’art. 117, comma 3 e 4, cost. una legge statale possa legittimamente attribuire a livello centrale, regolandone contemporaneamente l’esercizio, funzioni amministrative – altrimenti spettanti a livelli territoriali inferiori – è necessario il rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza nell’allocazione delle funzioni in questione, al fine di rispondere ad esigenze di esercizio unitario di queste ultime, nonché la predisposizione di una disciplina logicamente pertinente e limitata a quanto strettamente indispensabile a tal fine oltre alla predisposizione di procedure dirette ad assicurare, mediante strumenti di leale collaborazione, la partecipazione dei livelli di governo interessati.
Se si applicano i menzionati criteri alla normativa oggetto del presente giudizio, si rileva anzitutto la necessarietà dell’intervento dell’amministrazione statale in relazione al raggiungimento del fine di evitare il “pericolo di interruzione di fornitura di energia elettrica su tutto il territorio nazionale” (Corte Cost. n. 6 del 2004).

4. L’articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 e l’autorizzazione unica. Rapporti con il Codice dei beni culturali e del paesaggio e con l’autorizzazione ambientale integrata.
Per la costruzione e l’esercizio di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, per gli interventi di modifica, potenziamento, rifacimento totale o parziale e di riattivazione, nonché per la realizzazione delle opere connesse e delle infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli stessi impianti, le Regioni, o le Province da esse delegate, rilasciano un’autorizzazione unica ai sensi dell’articolo 12 del decreto legislativo n. 387 del 29 dicembre 2003, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell’ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico.
Tale decreto legislativo, con il quale è stata recepita in Italia la direttiva 2001/77/CE in materia di energie alternative e rinnovabili, ha pertanto previsto una autorizzazione unica per la realizzazione di impianti per la produzione di energia con fonti alternative e rinnovabili, qualificando tali opere come di pubblica utilità ed indifferibili ed urgenti (Cons. St., sez. V, 11 dicembre 2007 n. 6388).
Innanzitutto, merita mettere in rilievo come il legislatore italiano abbia recepito la normativa comunitaria (direttive 1996/92/CE e 2003/54/CE per quanto concerne la produzione di energia da fonti tradizionali e direttiva 2001/77CE in relazione alla produzione di energia da fonti rinnovabili) che esprime, in materia di produzione di energia da fonti alternative e rinnovabili, una posizione di favor per lo strumento autorizzatorio in luogo della procedura ad evidenza pubblica, ossia dell’appalto, nella prospettiva di consentire in termini più netti la liberalizzazione del settore e l’applicazione di un regime di piena concorrenza (in tal senso: T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 1 aprile 2008 n. 709; T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 8 marzo 2008 n. 530).
In secondo luogo, il legislatore italiano ha previsto in materia uno strumento di semplificazione amministrativa che può dirsi abbia anticipato la riforma dei procedimenti autorizzatori in materia ambientale disciplinati dei decreti legislativi n. 42 del 22 gennaio 2004 e n. 157 del 24 marzo 2006.
Infatti, il citato articolo 12 prevede un procedimento unico e snello nel quale la Conferenza di Servizi funge quale sede eletta per la composizione ed il bilanciamento degli interessi pubblici e privati coinvolti, tra cui assumono rilievo in modo particolare gli interessi alla tutela del paesaggio, alla tutela dell’ambiente e dell’iniziativa economico privata, ridimensionando il ruolo delle Soprintendenze al fine di concedere adeguata tutela non solo al bene estetico del paesaggio, ma anche al bene naturalistico dell’ambiente inteso come ecosistema.
Analogamente, gli articoli 132 del decreto legislativo n. 42 del 22 gennaio 2004 e 135 del decreto legislativo n. 157 del 24 marzo 2006 delineano l’autorizzazione paesaggistica come un atto unico soggetto a consultazione obbligatoria, ma non vincolante.
L’autorizzazione viene rilasciata dall’autorità competente in esito ad un articolato procedimento comportante un’accurata istruttoria finalizzata alla verifica della compatibilità, congruità e coerenza dell’intervento. Istruttoria che si traduce in una proposta, di rilascio o diniego dell’autorizzazione medesima, da trasmettere al Soprintendente. Il parere è reso entro il termine perentorio di 60 giorni, decorso il quale l’Amministrazione assume comunque le determinazioni definitive. L’eventuale autorizzazione rilasciata costituisce provvedimento autonomo e presupposto legittimante del permesso di costruire.
Il sistema dell’autorizzazione è volta a contemperare l’applicazione della normativa sulla produzione di energia da fonti alternative e rinnovabili con la tutela del paesaggio in quanto, ridimensionando il ruolo delle Soprintendenze, rafforza la fase istruttoria e l’apporto motivazionale delle Amministrazioni coinvolte che hanno l’obbligo di fornire completa ed adeguata motivazione in merito al bilanciamento effettuato.

5. Orientamenti giurisprudenziali sul ruolo dell’amministrazione nella comparazione di interessi rilevanti in materia.
Anche la recente giurisprudenza in materia appare orientata a valorizzare il ruolo del giudizio comparativo degli interessi coinvolti effettuato dalle Pubbliche Amministrazioni in sede istruttoria.
È vero, infatti, che ancora si afferma in giurisprudenza il criterio tradizionale, incentrato sulla tradizionale visione dell’autorizzazione paesaggistica come espressione del favor per la tutela del paesaggio e sulla conseguente tendenza alla massimizzazione di quest’ultimo interesse, configurato come “interesse pubblico di rilievo costituzionale prevalente su qualunque altra posizione giuridica pubblica e privata” (T.A.R. Sardegna, sez. II, 3 ottobre 2006 n. 2083; Cons. St., sez. IV, 4 dicembre 1998 n. 1734). Il Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione siciliana ha riaffermato con decisione la prevalenza dell’interesse primario delle Soprintendenze, statuendo che non rientra nelle loro competenze “al di là di una attenta comparazione dell’interesse paesaggistico (rispetto agli interventi progettati), sacrificare il detto interesse per perseguire altri interessi non affidati alle sue cure” (sentenze 21 novembre 2007 n. 1057 e 3 agosto 2007 n. 711).
Ma è anche vero che si va affermando una giurisprudenza che, invece, pone l’attenzione sulla necessaria compresenza di due elementi quale condizione di legittimità del provvedimento autorizzatorio. Da un lato, per quanto attiene la verifica di compatibilità del progetto con le esigenze di tutela del paesaggio, la necessità di un’istruttoria ampia e puntuale che investa la rilevanza e consistenza dei beni paesaggistici coinvolti, unitamente alle peculiarità concrete del progetto ed alle possibili forme di mitigazione degli interventi proposti. Dall’altro, un’adeguata valorizzazione e ponderazione in fase decisoria dei plurimi interessi concorrenti, pubblici e privati, che assumono rilievo in sede di realizzazione dell’impianto assieme all’interesse primario alla tutela del paesaggio, considerando che l’adozione del provvedimento finale non può basarsi soltanto sul criterio estetico-naturalistico, ma deve basarsi su di una valutazione comparativa ponderata e di bilanciamento tra tutti i detti interessi.
In particolare, tale giurisprudenza sottolinea che, nella ponderazione degli interessi, l’autorità competente deve operare un contemperamento che concili piuttosto che risolvere il conflitto in termini di totale sacrificio di altri interessi a favore di quello alla tutela del paesaggio.
La disciplina delle energie alternative e rinnovabili coinvolge vari interessi, pubblici e privati, aventi tutti dignità costituzionale: la tutela del paesaggio, la tutela dell’ambiente, della salute, dello sviluppo sostenibile e dell’iniziativa economico privata. Tuttavia, è stato precisato che “in un sistema pluralistico quale quello introdotto dalla Costituzione repubblicana, l’Amministrazione preposta alla tutela dei valori paesaggistici deve valutare la compatibilità dell’attività autorizzanda rispetto il vincolo, ponendo in comparazione detti valori con gli interessi antagonisti. Nel possibile conflitto fra le esigenze correlate all’esercizio dell’attività imprenditoriale, finalizzata alla produzione (con modalità non inquinanti) di energia elettrica, e quelle sottese alla tutela di valori non economici (come la tutela del paesaggio), l’Amministrazione deve, in particolare, ricercare non già il totale sacrificio delle une e la preservazione delle altre secondo una logica meramente inibitoria, ma deve piuttosto, come indicato dalla sentenza della Corte Costituzionale, 10 luglio 2002, n. 355, ricercare una soluzione (…) comparativa della dialettica fra le esigenze dell’impresa e quelle afferenti valori non economici, tutte rilevanti in sede di esercizio del potere amministrativo di autorizzazione alla realizzazione di attività imprenditoriali” (T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 4 febbraio 2005 n. 150).
Sulla necessità che la prevalenza del valore paesaggio non si traduca in un’affermazione monosettoriale, aprioristica ed apodittica del medesimo si è espressa anche la Corte Costituzionale (sentenza n. 196 del 24 giugno 2004), secondo la quale la tutela del paesaggio “non legittima in un primato assoluto in una ipotetica scala gerarchica dei valori costituzionali, ma origina la necessità che essi debbano sempre essere presi in considerazione nei concreti bilanciamenti operati dal legislatore ordinario e dalle Pubbliche Amministrazioni; in altri termini, la primarietà degli interessi che assurgono alla qualifica di valori costituzionali non può che implicare l’esigenza di una compiuta ed esplicita rappresentazione di tali interessi nei processi decisionali all’interno dei quali si esprime la discrezionalità delle scelte politiche o amministrative”.
Invero, “il confronto fra tutela paesaggistica e tutela ambientale è una delicata operazione che l’amministrazione è piuttosto chiamata a compiere avuto riguardo non ad arbitrarie prese di posizione rispondenti alle sensibilità culturali di ciascuno (…), ma al livello di tutela e al grado di compatibilità che l’ordinamento ha – normativamente – stabilito, quale risultante dall’esercizio del potere sovrano: secondo l’orientamento per cui le linee fondamentali del processo ricostruttivo del sistema delle tutele territoriali si fondano, nel nostro ordinamento, sulla preliminare constatazione della impraticabilità di una visione unitaria (panurbanistica, panambientale, o paesaggisticocentrica) del sistema stesso” (T.A.R. Palermo, Sicilia, sez. II, 4 maggio 2007).

6. La rilevanza della motivazione
Da qui deriva la centralità della motivazione sulla quale si basa l’accoglimento o il diniego dell’autorizzazione. Infatti, per la corretta applicazione della disciplina sulla realizzazione degli impianti per la produzione di energia “pulita” “ambiente e paesaggio (…) risultano concetti distinti, anzi collidenti (…). Data la primaria importanza di entrambi gli interessi in gioco, a nessuno dei due può essere assicurata un’assoluta prevalenza sull’altro: qualunque opzione che assicuri tutela ad uno solo dei due interessi, considerando l’altro del tutto irrilevante, sarebbe senz’altro incostituzionale ed in contrasto con i principi dell’ordinamento. Dunque, occorre senz’altro un bilanciamento (…) e tale bilanciamento andrà effettuato secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità. (…) Posta la necessità del bilanciamento, è evidente che tanto un provvedimento favorevole quanto uno sfavorevole debbano essere motivati; il primo non può essere adottato senza aver dato conto degli specifici presupposti di fatto che impongono la localizzazione in quel punto, mentre il secondo (…) non può essere motivato con riferimento a generiche esigenze paesaggistiche. (…) Le esigenze paesaggistiche (…) devono essere riferite a dati concreti/determinati (…). Lo stesso principio è stato affermato dal Tar Sicilia, Palermo, II, 1398/06: è stato ritenuto illegittimo il diniego di nulla osta paesaggistico, per la realizzazione di un impianto ad energia eolica, se non vengono specificatamente motivate le ragioni di incompatibilità del territorio con l’insediamento di impianti eolici. Anche il Consiglio di Stato si è espresso in tal senso: il provvedimento statale di annullamento di autorizzazione paesistica non può apoditticamente affermare che la realizzazione del progetto pregiudica i valori ambientali e paesaggistici, ma «deve basarsi sull’esistenza di circostanze di fatto o di elementi specifici (da esporre nella motivazione) che non siano stati esaminati dall’autorità che ha emanato l’autorizzazione ovvero che siano stati da essa irrazionalmente valutati» (CdS, VI, 680/05)” (T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 29 gennaio 2009 n. 530).
In tal senso si era già espresso in materia di autorizzazione paesaggistica il Consiglio di Stato, sez. VI, nella decisione 9 marzo 2005 n. 971.
In tale contesto appare ridimensionato il ruolo delle Soprintendenze, tenuteb ora ad intervenire in fase istruttoria e rendere il parere di propria competenza in sede di Conferenza di servizi, in un contesto di bilanciamento d’interessi che evita di accordare preferenza ad una soluzione basata sull’esclusiva tutela del paesaggio (Cons. St., 11 aprile 2008 n. 295; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 27 maggio 2008 n. 683; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 28 settembre 2005 n. 1671; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 4 febbraio 2005 n. 150).

7. Il principio dell’autorizzazione unica. Il modello dell’autorizzazione integrata ambientale.
L’attuale punto di riferimento dell’autorizzazione semplificata nel nostro ordinamento è quello dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (di seguito: “A.I.A.”), introdotta in Italia con il decreto legislativo n. 59 del 18 febbraio 2005 in attuazione della direttiva 96/61/CE.
È previsto l’utilizzo di tale modulo procedimentale per l’autorizzazione di determinate attività industriali particolarmente inquinanti, in prevalenza attività energetiche. La previsione dell’A.I.A. per questi impianti realizza un’ipotesi di semplificazione sostanziale, dato che a norma dell’articolo 5, comma 14, del decreto legislativo citato, l’autorizzazione integrata, la quale concerne l’inquinamento al contempo dell’aria, dell’acqua e del suolo, “sostituisce ad ogni effetto ogni altra autorizzazione, visto, nulla osta o parere in materia ambientale previsti dalle disposizioni di legge e dalle relative norme di attuazione”, fatte salve le disposizioni riguardanti i rischi di incidenti rilevanti, di cui al decreto legislativo n. 334 del 1999, e le speciali autorizzazioni ad emettere gas ad effetto serra, di cui al recente decreto legislativo n. 216 del 2006.
Ai sensi dell’Allegato II del decreto legislativo n. 59 del 18 febbraio 2005, al quale fa rinvio lo stesso articolo 5, comma 14, del medesimo decreto, l’A.I.A. “sostituisce, in ogni caso”, l’autorizzazione allo scarico, l’autorizzazione alla realizzazione di impianti di smaltimento o recupero dei rifiuti e all’esercizio delle corrispondenti operazioni, l’autorizzazione allo smaltimento degli apparecchi contenenti PCB-PCT, ecc.
Non è possibile in questa sede illustrare l’articolata disciplina dell’A.I.A.; basti qui rilevare che l’autorizzazione integrata è un provvedimento a contenuto fortemente prescrittivo e conformativo, il quale tra l’altro deve fissare, sulla base delle “migliori tecniche disponibili” (le c.d. Bat, acronimo inglese di Best Available Techniques), “valori limite di emissione”, comunque non “meno rigorosi di quelli fissati dalla normativa vigente nel territorio in cui è ubicato l’impianto”, oppure “parametri o misure tecniche equivalenti”, “per le sostanze inquinanti (…) che possono essere emesse dall’impianto interessato in quantità significativa, in considerazione della loro natura, e delle loro potenzialità di trasferimento dell’inquinamento da un elemento ambientale all’altro, acqua, aria e suolo”, e deve altresì indicare “i valori limite ai sensi della vigente normativa in materia di inquinamento acustico” (articolo 7, commi 3 e 4, del decreto legislativo n. 59 del 18 febbraio 2005).
Da ciò emerge chiaramente come l’A.I.A. rappresenti un buon esempio di semplificazione funzionale, nonché di razionalizzazione sostanziale della disciplina ambientale. Essa, infatti, costituisce anche una mirabile applicazione del principio di efficacia dell’azione amministrativa, poiché l’integrazione delle tutele ambientali di settore all’interno di una funzione unitaria consente di tenere conto, nel rilascio dell’autorizzazione integrata, la quale assorbe le autorizzazioni precedentemente richieste, del fatto che l’inquinamento complessivamente prodotto da un impianto non coincide con la mera somma algebrica degli inquinamenti di vario genere prodotti da ogni singola fonte di emissioni inquinanti presente nell’impianto medesimo.
In realtà, le diverse fonti e i vari tipi di inquinamento, dell’acqua, dell’aria e del suolo, riscontrabili in un impianto si combinano tra loro causando una moltiplicazione esponenziale dell’effetto complessivo degli inquinamenti, che è ben superiore alla somma dei singoli fattori inquinanti considerati isolatamente.
Questa constatazione permette di apprezzare agevolmente il valore aggiunto dell’A.I.A. rispetto al valore, pur di per sè già ragguardevole, di un mero accorpamento di funzioni.

8. La competenza regionale e il ruolo dei Comuni.
La funzione di comparazione e selezione dei progetti, nonché di individuazione e autorizzazione dei soggetti destinati a realizzare e gestire gli impianti, è attribuita alle Regioni (e da queste delegabile alle Province).
Non sussiste una competenza degli Enti locali al riguardo (in tal senso: Cons. St., sez. V, 11 dicembre 2007 n. 6388; T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 6 giugno 2007 n. 448).
Per quanto concerne la realizzazione di impianti offshore, l’autorizzazione è rilasciata dal Ministero dei trasporti, sentiti il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (in tal senso, escludendo altre competenze, anche Cons. St., sez. II, 3 settembre 2008 n. 2654).
Al Comune non può essere riconosciuta neppure la discrezionale scelta dei soggetti legittimati alla realizzazione degli impianti e tanto meno la possibilità di sottoporre questa scelta alla competizione basata sull’offerta economica dei concorrenti.
Tuttavia, l’attribuzione della competenza in capo alle Regioni non esclude l’esistenza di taluni poteri di amministrazione attiva in capo agli Enti locali, sia a livello di pianificazione, sia nella fase di Conferenza di Servizi sui progetti presentati alla Regione, come anche in sede di valutazione d’impatto ambientale; resta fermo il principio per il quale qualsiasi attribuzione al Comune dovrebbe comunque essere espressa in sede di Conferenza di Servizi (in tal senso: C.G.A., sez. giur., 11 aprile 2008 n. 295).
In particolare, devono riconoscersi competenze di pianificazione in capo a detti Enti locali, posto che “sul piano sistematico, confliggerebbe verosimilmente con il principio di sussidiarietà sancito dall’art. 118 cost. un corpus legislativo che estromettesse del tutto gli enti locali dal processo di decisione sulla localizzazione delle infrastrutture energetiche” (T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 8 marzo 2005 n. 530).
Tuttavia, ciò non esclude la sussistenza del problema di esaminare entro quali limiti sussista il potere per i Comuni di tipizzare il proprio territorio, indicando quali aree siano idonee ad ospitare impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.
Così, ad esempio, l’articolo 12, comma 7, del decreto legislativo n. 387 del 29 dicembre 2003 prevede che tali impianti possano essere ubicati in zone agricole, pur se nell’ubicazione si debba tener conto delle disposizioni sul sostegno del settore agricolo, con particolare riferimento alla tutela delle tradizioni agroalimentari locali e del paesaggio rurale. Nulla viene esplicitato in relazione all’Ente competente a bilanciare l’interesse pubblico all’incentivazione della produzione di energia rinnovabile con detti interessi. L’unico accenno è fatto nel comma 10 del medesimo articolo, ma nel diverso ambito della disciplina delle linee guida, laddove è previsto che “le Regioni possono procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazioni di specifiche tipologie di impianti”.
Ne deriva certamente una competenza localizzativa per così dire “negativa” in capo alle Regioni, nel senso che le stesse hanno il potere di individuare le aree entro le quali non procedere alla localizzazione degli impianti.
In presenza di un vuoto normativo per l’attribuzione della competenza alla localizzazione per così dire “positiva”, di reale pianificazione, sembra preferibile rifarsi alle generali disposizioni nazionali e regionali in materia di urbanistica, attribuendo uno specifico potere ai Comuni, i quali possono prevedere la localizzazione degli impianti per la produzione di energia “pulita” all’interno dei propri strumenti urbanistici.
Del resto, il comma 7 dell’articolo 12 del citato decreto legislativo sembra sottintendere tale potere localizzativo in capo ai Comuni nell’esercizio della propria discrezionalità in materia di governo del territorio (T.A.R. Umbria, 15 giugno 2007 n. 518).
Ovviamente, anche la pianificazione comunale deve necessariamente rappresentare un corretto bilanciamento tra i vari interessi coinvolti, ovvero tra lo sviluppo di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili da un lato e la tutela delle zone agricole dall’altro, affinché possano essere individuate le tipologie di zone agricole sulle quali acconsentire la costruzione degli impianti.
In tal senso rileva il recente orientamento espresso dal T.A.R. Puglia, Bari, sez. III, nella sentenza 983 del 22 aprile 2009, secondo cui “il Collegio (…) ritiene che i Comuni possano certamente prevedere, nell’esercizio della propria discrezionalità in materia di governo del territorio, aree specificatamente destinate ad impianti (…) l’articolo 12, comma 7, (…) sottintende tale potere”, sottolineando che il Comune deve anche discrezionalmente individuare le specifiche zone agricole sulle quali procedere alla localizzazione, posto che deve sempre effettuare una valutazione di tutti gli interessi coinvolti; il che implica che il Comune non possa arbitrariamente localizzare gli impianti in qualsiasi zona agricola.
Infine al Comune, che resta escluso dalla competenza autorizzatoria, è anche tassativamente vietato imporre un corrispettivo (le c.d. misure di compensazione patrimoniale) quale condizione per il rilascio del titolo abilitativo, atteso che la normativa comunitaria e nazionale qualifica l’esercizio di impianti di energie “alternative” quali attività libere soggette alla sola autorizzazione amministrativa.

9. Il procedimento.
Il procedimento per il rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione ed all’esercizio degli impianti alimentati da fonti alternative e rinnovabili, considerati dal legislatore italiano “di pubblica utilità ed indifferibili ed urgenti”, viene compiutamente disciplinato dai commi 3 e 4 dell’articolo 12 del decreto legislativo n. 387 del 29 dicembre 2003.
La Regione, quale autorità competente al rilascio dell’autorizzazione, convoca la Conferenza di Servizi entro 30 giorni dal ricevimento della domanda di autorizzazione. A tale Conferenza di Servizi, che si svolge secondo le norme di cui agli articoli 14 e seguenti della legge n. 241 del 1990, partecipano tutte le Amministrazioni interessate che uniformano la loro attività ai principi di semplificazione procedimentale.
La mancata partecipazione alla Conferenza di Servizi di una di tali Amministrazioni interessate preposte alla tutela dei beni di rango costituzionale da bilanciare costituisce un’anomalia procedimentale, “tenuto conto della ratio dell’istituto della conferenza di servizi, ossia di acquisizione e di contemperamento di tutti gli interessi pubblici e privati del procedimento volto all’acquisizione della autorizzazione alla realizzazione dell’impianto” (T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, sez. I, 1 ottobre 2007 n. 579).
La Conferenza di Servizi, “proprio perché dichiaratamente volta a semplificare il procedimento nel suo complesso, è logicamente finalizzata ad esaminare le istanze ed i progetti afferenti gli impianti (…)” (T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 26 febbraio 2008 n. 267), per cui l’utilizzo di altri strumenti di valutazione degli interessi di natura ambientale e paesaggistica coinvolti nel procedimento, come ad esempio la V.I.A., non si configura come condicio sine qua non per l’indizione della medesima Conferenza di Servizi, ma solo come uno degli elementi che le Amministrazioni chiamate sono tenute a valutare, condividendone o meno l’esito.
Invece, in caso di dissenso, purché non sia quello espresso da un’Amministrazione statale preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale o del patrimonio storico artistico, la decisione, ove non diversamente disciplinato dalle Regioni, è rimessa alla Giunta regionale o delle Province Autonome.

10. Il termine del procedimento.
La legge espressamente prevede, in ossequio alle esigenze di semplificazione ed accelerazione procedimentale fondanti la scelta di tale modulo procedimentale, che l’autorizzazione venga concessa o negata nel termine di 180 giorni.
A tale proposito la giurisprudenza costituzionale, in merito ad una moratoria predisposta dalla Regione Puglia nelle more dell’approvazione del Piano Energetico Ambientale Regionale, ha chiarito che trattasi di termine non derogabile dalle singole Regioni. Infatti, la previsione di un termine entro cui il procedimento amministrativo finalizzato al rilascio dell’atto abilitativo deve concludersi è principio fondamentale nell’ambito di una materia rientrante nella competenza legislativa concorrente delle Regioni, essendo espressione di una generale esigenza di speditezza volta a garantire uniformemente su tutto il territorio nazionale il celere svolgimento del procedimento autorizzativo (Corte Cost., 9 novembre 2006 n. 364).
Anche la recente giurisprudenza amministrativa ha precisato che, essendo gli impianti per la produzione di energia “pulita” considerati di pubblica utilità, indifferibili ed urgenti, il termine di 180 giorni per la conclusione del procedimento previsto dalla normativa nazionale debba essere considerato perentorio, con l’effetto che il suo inutile decorso debba dare vita ad un silenzio-rifiuto impugnabile innanzi al Giudice ammnistrativo (T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. III, 22 ottobre 2008 n. 1277; T.A.R. Basilicata, Potenza, sez. I, 28 marzo 2008 n. 78; T.A.R. Basilicata, Potenza, sez. I, 5 marzo 2007 n. 144; T.A.R. Molise, Campobasso, sez. I, 15 gennaio 2007 n. 20).

11. Valore dell’autorizzazione
Inoltre, data la natura unitaria del procedimento disciplinato dal legislatore, il rilascio del provvedimento autorizzatorio costituisce, per espressa statuizione normativa, titolo a costruire e ad esercitare l’attività in conformità al prescrizioni progettuali approvate. Infatti, “al riguardo si ritiene che, attesa l’ampiezza della richiamata previsione normativa (la quale prevede ex se il rilascio dell’autorizzazione unica quale titulus idoneo e sufficiente per la costruzione e l’esercizio dell’impianto), essa non consenta opzioni ermeneutiche di carattere restrittivo (…), volte ad attenuare la valenza – per così dire – “omnicomprensiva” dell’autorizzazione medesima, neppure laddove si faccia questione di un interesse di rilevante valenza quale la tutela della disciplina dell’attività edificatoria a livello locale” (T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, 5 febbraio 2008 n. 358).
Il rilascio dell’autorizzazione deve altresì contenere, l’obbligo alla rimessa in pristino dello stato dei luoghi a carico del soggetto esercente a seguito della dismissione dell’impianto o, per gli impianti idroelettrici, l’obbligo alla esecuzione di misure di reinserimento e recupero ambientale. Il termine massimo per la conclusione del procedimento di cui al presente comma non può comunque essere superiore a centottanta giorni.
L’autorizzazione non può essere subordinata né prevedere misure di compensazione a favore delle regioni e delle province.

12. Le linee guida statali
Un particolare valore assumono in tale contesto ordina mentale le linee guida previste dall’articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, come modificato dal comma 158 dell’art. 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244.
Il comma 10 di detto articolo recita: “In Conferenza unificata, su proposta del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del Ministro per i beni e le attività culturali, si approvano le linee guida per lo svolgimento del procedimento di cui al comma 3. Tali linee guida sono volte, in particolare, ad assicurare un corretto inserimento degli impianti, con specifico riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio. In attuazione di tali linee guida, le regioni possono procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti. Le regioni adeguano le rispettive discipline entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore delle linee guida. In caso di mancato adeguamento entro il predetto termine, si applicano le linee guida nazionali”.

Prof. Avv. Carlo Malinconico